La solitudine, il dolore e l’amore degli uomini nello sguardo innamorato degli angeli di Wim Wenders.

Gli uomini credono di avere conquistato il mondo.
Ma è il mondo che ha conquistato loro

L’angelo Cassiel in “
In weiter Ferne, so nah!
(“Così lontano così vicino” ) di Wim Wenders

 

 

Der Himmel über Berlin” di Wim Wenders – 1987

In Der Himmel über Berlin” (Il cielo sopra Berlino – 1987) e nel successivo In weiter Ferne, so nah! ” (Così lontano così vicino – 1993) Wenders racconta  la solitudine, il dolore e l’amore degli uomini attraverso lo sguardo degli angeli che osservano il mondo arroccati sulla Siegessäule*  incapaci di penetrarlo e di riuscire ad avere una precisa percezione della magia racchiusa nei piccoli gesti umani di ogni giorno e senza poter percepire il colore della vita.

In weiter Ferne, so nah! ” di Wim Wenders – 1993

Voi che noi amiamo, voi non ci vedete, non ci sentite,
ci credete molto lontani eppure siamo così vicini.
Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi è lontano,
siamo messaggeri che portano la luce a chi è nell’oscurità,
siamo messaggeri che portano la parola
a coloro che chiedono.

Non siamo luce, non siamo messaggio: siamo i messaggeri.
Noi non siamo niente,
voi siete il nostro tutto.
Lasciateci vivere nei vostri occhi,
guardate il vostro mondo attraverso noi,

riconquistate insieme a noi lo sguardo pieno d’amore,
allora noi
saremo vicini a voi.


 

 

Nel cinema di Wenders gli interrogativi si impastano alle immagini disegnando un quotidiano che s’innalza dalla terra al cielo. Dentro la pellicola si agitano l’indifferenza al dolore del vivere così come quella che si prova di fronte alla morte. Domande esistenziali alle quali Wenders sceglie di non rispondere: forse l’indifferenza deriva da una sorta di abitudine o, in una visione più drammatica, essa rappresenta una reazione alla paura, quasi che chi soffre ci potesse in qualche modo contagiare. Le immagini in movimento squarciano muri fatti di fragili certezze spingendo lo spettatore a porsi domande sul senso della propria esistenza.

Stay (Faraway, So Close!) degli U2, estratta nel 1993 dall’album Zooropa.
Il brano è stato incluso nella colonna sonora del film Così lontano, così vicino
di Wim Wenders,
insieme ad un altro brano degli U2 The Wanderer.

Più in generale, nel cinema gli angeli erano già stati rappresentati per lo più nel contesto di commedie leggere. Tra queste “La vita è meravigliosa” di Frank Capra (1946) che è  indubbiamente l’opera più celebre.

Ma il cinema si è occupato degli angeli sin dai primi tempi del sonoro come nel caso de “La leggenda di Liliom” (1934) di Fritz Lang.

La leggenda di Liliom” di Fritz Lang (1934)

Nell’ambito dei film musicali, gli angeli compaiono in altre pellicole come “Jolanda e il re della samba” (1945), “Due cuori in cielo” (1942) e “Uno straniero tra gli angeli” (1955), tutti e tre diretti da Vincent Minnelli. Altri film – quasi tutti di produzione americana – sono “Un angelo è sceso a Brooklyn” (1945) di Leslie Goodwins, “L’infernale avventura” (1946) di Archie Mayo, “The angel who pawned her harp” (1956) di Alan Bromly, “Angels in the outfield” (1951) di Clarence Brown, “Heaven only knows” (1947), “The heavenly kid” (1985), “Bellezze in cielo” (1947) di Alexander Hall, “The angel Levine” (1970) di Jan Kadar e “Al di là del domani” (1940) di Edward Sutherland con Richard Carlson.

Italiani sono invece i film “Miracolo a Milano” (1951) di Vittorio de Sica e “L’angelo custode” (1968) di Giuliano Tomei.

In Inghilterra fu realizzato nel 1946 “La scala del paradiso”, poetica e commovente fiaba sui piloti dell’ultima guerra.

Dalla Francia nel 1967 giunse invece il film “Angelica ragazza jet” (per la regia di Geza Radvanyl), nel quale l’angelo che aiuta Jean Paul Belmondo è interpretato da una bellissima Romy Schneider.

Ma l’angelo che ha affascinato tutto il mondo è quello protagonista della pellicola “Il cielo sopra Berlino” (e del successivo “Così lontano, così vicino”) del regista tedesco Wim Wenders. Wenders deve agli angeli, in fatto di popolarità, almeno quanto gli angeli devono a lui. Fu infatti dopo i suoi due celebratissimi film, usciti ad alcuni anni di distanza l’uno dall’altro ed entrambi incentrati sul rapporto fra gli esseri umani e gli angeli che, da regista di culto, Wenders divenne noto anche al grande pubblico.

Dal canto loro i messaggeri celesti sono potuti “rientrare” nell’immaginario collettivo, creando un fenomeno che non trova precedenti almeno negli ultimi 300 anni.

E’ Wenders stesso che ricorda: “Nell’estate del 1986 decisi di girare un film a Berlino. E iniziai a pensare a quale personaggio avrebbe potuto guidarmi attraverso la mia città, la vera protagonista della storia. Mi serviva qualcuno che potesse portarmi ovunque, in ogni angolo, per mostrarmi tutte le sue facce. Ricordo che vagando per le strade, in quei giorni, mi imbattei in una miriade di figure angeliche. A cominciare dalla grandiosa statua dell’Angelo della Vittoria che svetta sulla colonna in mezzo al giardino zoologico, per finire agli angeli raffigurati sulle facciate di alcune case. Ne trovai tantissimi. Erano una forte presenza. Così mi resi conto che forse era proprio quello il personaggio che cercavo. Un mondo che però non mi apparteneva. Non era da me pensare a cose del genere. Solo quando scrissi la storia e la feci leggere a Peter Handke (il grande scrittore che ha sceneggiato “Il Cielo sopra Berlino”) mi accorsi che non si stupì affatto. Quasi che se lo aspettasse. L’angelo per me era soprattutto una metafora, cioè il meglio di noi stessi. Quella parte con la quale a volte riusciamo ad avere un contatto, ma che più spesso ci sfugge. Mi convinsi che ognuno ha un angelo dentro di sé e lo illustrai in una storia poetica. Dopo essermene occupato per anni, mi sono sentito sempre più vicino a questi esseri. Ora li prendo sul serio. Ho imparato a guardarli in senso più religioso, ci credo e li intendo realmente come intermediari tra Dio e gli uomini. Inoltre l’argomento stava altrettanto a cuore al pittore che ha influenzato i miei primi studi d’arte, Paul Klee. Valeva la pena di approfondirlo… I miei film sono soprattutto basati sul modo in cui gli angeli guardano il mondo. Volevo tradurre il loro sguardo, la loro visione delle cose, in termini a noi comprensibili. All’inizio pensai di utilizzare l’alta tecnologia, le riprese d’effetto, ma poi compresi che la chiave stava nel trovare un diverso atteggiamento, più affettuoso verso la realtà. Gli angeli sono più vicini di quanto pensiamo. Ma percepirli è un’altra cosa. Credo che sia davvero una questione di fede, di atteggiamento personale. Oggi la gente è convinta di poter credere soltanto in ciò che vede. Viviamo in una strana epoca in cui siamo circondati quasi esclusivamente da cose create da noi. Tutte immagini di seconda mano, riproduzioni della realtà. Nel mio secondo film l’angelo Cassiel dice: “Gli uomini credono di avere conquistato il mondo. Ma è il mondo che ha conquistato loro”. Molti, troppi di noi, hanno dimenticato l’atteggiamento di umiltà rispetto alla creazione. Se si pensa davvero che sia l’uomo l’unico creatore, non rimane molto spazio per alcun tipo di speranza. Né la scienza o la filosofia hanno mai saputo spiegare la vera ragione dell’esistenza. Niente e nessuno c’è riuscito fino ad ora… Un altro aspetto degli angeli che contiene un messaggio fondamentale è il loro rapporto col tempo. Non ne sono certo ossessionati come noi. Per questo non possiamo comprendere neppure lontanamente la dimensione in cui vivono. L’eternità rende ridicoli i nostri affanni di uomini, perciò gli angeli non possono che sorridere nel vedere quanto ci sentiamo importanti“.

Ispirato dagli angeli di Wenders (angeli capaci di sentire attrazione e curiosità verso il mondo terreno fino al punto di rinunciare alle “ali”), il regista Brad Silberling realizzo’ “La città degli angeli” (1998) dove Nicholas Cage veste i panni di Seth, un angelo stretto nel desiderio di rinunciare alla propria immortalità e diventare uomo per conquistare la donna dei sogni.

Un angelo particolare è quello interpretato da Brad Pitt in “Vi presento Joe Black” (1998), di Martin Brest. William Parrish (interpretato da Anthony Hopkins) è un uomo che ha avuto tutto dalla vita: successo, ricchezza e potere. A pochi giorni dal suo 60° compleanno riceve una visita da un tanto misterioso quanto affascinante personaggio, Joe Black (Brad Pitt) che non tarda a rivelare la propria identità: è l’angelo della morte. William fa un patto con Joe: fargli assaporare il gusto di una vita lussuosa in cambio di un po’ più di tempo per viverla…

Infine lo spettacolare “Al di là dei sogni” del 1999 con Robin Williams, per la regia di Vincent Ward che racconta dell’amore infinito che unisce Chris (Robin Williams) e sua moglie, la pittrice Annie (Annabella Sciorra). Chris muore in un incidente e raggiunge un paradiso che la sua fantasia ha ambientato in uno dei meravigliosi dipinti di Annie. Chris, non potendo immaginare di vivere senza sua moglie, per raggiungerla si avventura in un fantasmagorico e coloratissimo viaggio guidato da un “angelo” molto particolare (Cuba Gooding Jr.).

Una frase del film recita:

Per quelli che credono nell’amore eterno, nessuna spiegazione è necessaria; per quelli che non ci credono, nessuna spiegazione è possibile“.

 

* Siegessäule: la Colonna della Vittoria, uno dei monumenti più celebri di Berlino.

Romy Schneider

 

 

Una volta. Una lettera…

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[… … ]

questa è una bellissima città, cioè piena di caos, traffico, strade coi lavori in corso e case orribili, fitte fitte; ma tutta nuova, per uno come me che viene dalla più quieta provincia.

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Ci si sente soli in mezzo a tanta gente, così penso a  te, che sei l’ago della mia bussola. La lontananza mi pesa, qualche volta ho perfino paura che possa allargare uno spazio, fra noi due, uno stacco incolmabile.

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C‘è l’esperienza che sto facendo: il primo impiego, una vita regolata sugli orari, questi uffici sterminati dove ognuno si muove agganciato al lavoro di un altro. Mi sento oppresso, da un lato, e sorretto dall’altro: non si può sbagliare, e si può sbagliare tutto. Più che altro, il modo di prendere questa vita da grandi che si guadagnano da vivere e pensano di mettere su famiglia.

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La mia famiglia sarai tu, e i nostri figli. Così abbiamo deciso. E tutto somiglia tale e quale a papà e mamma, ai tuoi, ai miei, ai figli che siamo noi. Possibile che non ci sia un altro modo? Non vorrei vederti costretta, poco per volta, tra i lavori di casa e i bambini, a dimenticare quella che sei ora: una ragazza viva, che legge, discute, partecipa a tutto quanto avviene nel mondo. Non vorrei vederti poco per volta appesantita, chiusa in un vestito da “signora” per bene: devi rimanere bella e spiritosa, e capace di vestirti senza fronzoli grotteschi, come sei ora.

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Non fa niente invecchiare; non importano i segni del tempo sul viso, sul corpo. Anch’io invecchierò con te. Conta non invecchiare di dentro: ho visto, qui in città, donne straordinarie, che potevano avere l’età di mia madre o di tua madre, ma con occhi pieni di intelligenza, sorrisi senza sottintesi, facce qualche volta aggrottate nel lavoro, nell’impegno a pensare. Ho pensato alle facce serene di mia madre o di tua madre: su di loro il tempo è passato come un’onda, lasciando dolcezze e amarezze, ogni anno una ruga di più, un lampo di meno, sempre di meno. Vorrei che sulla tua faccia passassero lampi irrefrenabili – di collera, d’amore di gioia, di dolcezza – sempre, come ora, fino alla vecchiaia.

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Così va presa anche questa lontananza: io che sono qui, che faccio le prove generali della mia vita adulta, tu che stai a casa a finire gli studi, ancora protetta dalla tua famiglia, ancora in grado di dare tutto il tempo a capire – capire – capire com’è fatto il mondo d’oggi. Se no, come faremo a presagire il mondo di domani, per preparare i nostri figli ad entrarci?

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Fai anche tu le tue prove generali, ma in un altro modo: anche tu impara a dedicare altrimenti il tempo che davi a me, leggendo i libri che ci sono cari, quelli che ti ho lasciato l’ultimo giorno. Le stesse righe le ho lette anch’io; dentro di me hanno suscitato domande, emozioni, chiarito qualcosa. Devi dirmi che cosa hanno dato a te, quali pensieri, quali reazioni ti hanno suscitato.
Di questo sono geloso: dei discorsi che ci facciamo mentre impariamo a vivere, e che sono solo nostri, un’intimità che ci appartiene.

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Sono geloso anche di te, qualche volta, di te che sei fresca come un mattino e prepotente come un colpo di vento. Vai all’università, ti trovi con gli amici a parlare, passi sotto i portici con le altre ragazze. E i ragazzi, al caffè, vi stanno a guardare. Troverai qualcuno che ti piace più di me, che ti porterà via? E tu, stanca di aspettare…

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Ma l’abbiamo detto, anche questa è una prova generale: non lasciarci dominare dai sentimenti, dalla voglia che abbiamo di stare subito insieme.

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Io ti amo, tu mi ami; meglio dire: ci vogliamo bene. È più concreto, c’è dentro l’amicizia, la solidarietà e anche le baruffe, i giochi, i maglioni e le scarpe da tennis – vieni anche tu? Andiamo al fiume? Hai visto il bosco come è bello in ottobre, tutto giallo e rosso? – Qui niente maglioni, niente fiume, niente foglie dorate. Colletto e cravatta, asfalto, il tram delle otto e dodici, quello delle diciotto e trentaquattro. Non dimenticare chi siamo, come siamo, adesso.

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Ho montato la sveglia, mi sono lavato i denti, ho fumato l’ultima sigaretta. Sono gesti che ti diventeranno familiari, quando vivremo insieme. Perché tu mi saprai aspettare, vero?

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Ciao, ti abbraccio forte,  come l’ultima volta.

 

………

Vorrei andar lontano …

Vorrei andar lontano, scordando tutto il resto,
e il resto da scordare, scansarlo con la mano,
mandare a quel paese guerre e cattiverie, sfidare le intemperie,
tagliare il cielo in due.

Sposarmi con le stelle, volare insieme al vento,
portando sulle spalle chi vive nel lamento,
condurre una ragazza per mano in un tramonto,
donarle l’amicizia se lei ne ha bisogno.

Vorrei comprare case per poveri e barboni, ed essere felice
di aver fatto del bene, rubare il firmamento, donarlo ai non vedenti,
vederli poi vedere, che scordano il tormento.

Vorrei andar lontano, costruendo tutto il resto,
e il resto da costruire, tenerlo per la mano.