Quando ti diranno che chi gestisce queste pagine è misogino….
…. non avere dubbi, stai parlando con una nazifemminista!
CAMPAGNA SOCIALE CONTRO LA CULTURA E LA PREPOTENZA NAZIFEMMINISTE
L'incredibile storia di uno dei tanti padri in Italia
CAMPAGNA SOCIALE CONTRO LA CULTURA E LA PREPOTENZA NAZIFEMMINISTE
Campagna sociale a sostegno della Cultura della Bigenitorialita’
[Alda Merini]
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Quando stavo a New York la città non era ancora stata ferita dall’ orribile attacco dell’ 11 settembre e le Torri gemelle spiccavano snelle e potenti nel panorama di Downtown, ma non per questo, anche allora, l’ America era un Paese in pace con se stesso e col resto del mondo. Da più di mezzo secolo gli americani, pur non avendo mai dovuto combattere a casa loro, non hanno smesso di sentirsi, e spesso di essere, in guerra con qualcuno: prima col comunismo, con Mao, con i guerriglieri in Asia e i rivoluzionari in America Latina; poi con Saddam Hussein e ora con Osama bin Laden e il fondamentalismo islamico. Mai in pace. Sempre a lancia in resta. Ricchi e potenti, ma inquieti e continuamente insoddisfatti.
Un giorno, nel New York Times mi colpì la notizia di uno studio fatto dalla London School of Economics sulla felicità nel mondo. I risultati erano curiosi: uno dei Paesi più poveri, il Bangladesh, risultava essere il più felice. L’ India era al quinto posto. Gli Stati Uniti al quarantaseiesimo!
A volte avevo l’ impressione che a goderci la bellezza di New York eravamo davvero in pochi. A parte me, che avevo solo da camminare, e qualche mendicante intento a discutere col vento, tutti gli altri che vedevo mi parevano solo impegnati a sopravvivere, a non farsi schiacciare da qualcosa o da qualcuno. Sempre in guerra: una qualche guerra.
Una guerra a cui non ero abituato, essendo vissuto per più di venticinque anni in Asia, era la guerra dei sessi, combattuta in una direzione soltanto: le donne contro gli uomini. Seduto ai piedi di un grande albero a Central Park, le stavo a guardare. Le donne: sane, dure, sicure di sé, robotiche. Prima passavano sudate, a fare il loro jogging quotidiano in tenute attillatissime, provocanti, con i capelli a coda di cavallo; più tardi passavano vestite in uniforme da ufficio – tailleur nero, scarpe nere, borsa nera con il computer – i capelli ancora umidi di doccia, sciolti. Belle e gelide, anche fisicamente arroganti e sprezzanti. Tutto quello che la mia generazione considerava «femminile» è scomparso, volutamente cancellato da questa nuova, perversa idea di eliminare le differenze, di rendere tutti uguali e fare delle donne delle brutte copie degli uomini.