Se mai serviva una prova che il nazifemminismo fosse realta’, adesso l’abbiamo.

SONO STATI DISABILITATI QUASI TUTTI GLI ACCOUNT AMMINISTRATIVI DELLE PAGINE.

VI chiediamo QUINDI DI SCRIVERE A FACEBOOK disabled@facebook.com chiedendone la riattivazione e spiegando ciò che presumibilmente è successo.

(SEGNALAZIONI PIRATA)

DENUNCIAMO LA CENSURA MESSA IN ATTO DA SOGGETTI CHE OPERANO ILLEGALMENTE

NON PIEGHIAMOCI ALLA PREPOTENZA

grazie per esserci

Attraverso questo blog avverranno ulteriori comunicazioni nell’attesa che loe responsabilita’ di quanto accaduto oggi siano verificate.

Tiziano Terzani: “Una guerra a cui non ero abituato… … era la guerra dei sessi, combattuta in una direzione soltanto: le donne contro gli uomini.”

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Quando stavo a New York la città non era ancora stata ferita dall’ orribile attacco dell’ 11 settembre e le Torri gemelle spiccavano snelle e potenti nel panorama di Downtown, ma non per questo, anche allora, l’ America era un Paese in pace con se stesso e col resto del mondo. Da più di mezzo secolo gli americani, pur non avendo mai dovuto combattere a casa loro, non hanno smesso di sentirsi, e spesso di essere, in guerra con qualcuno: prima col comunismo, con Mao, con i guerriglieri in Asia e i rivoluzionari in America Latina; poi con Saddam Hussein e ora con Osama bin Laden e il fondamentalismo islamico. Mai in pace. Sempre a lancia in resta. Ricchi e potenti, ma inquieti e continuamente insoddisfatti.
Un giorno, nel New York Times mi colpì la notizia di uno studio fatto dalla London School of Economics sulla felicità nel mondo. I risultati erano curiosi: uno dei Paesi più poveri, il Bangladesh, risultava essere il più felice. L’ India era al quinto posto. Gli Stati Uniti al quarantaseiesimo!



 

A volte avevo l’ impressione che a goderci la bellezza di New York eravamo davvero in pochi. A parte me, che avevo solo da camminare, e qualche mendicante intento a discutere col vento, tutti gli altri che vedevo mi parevano solo impegnati a sopravvivere, a non farsi schiacciare da qualcosa o da qualcuno. Sempre in guerra: una qualche guerra.

Una guerra a cui non ero abituato, essendo vissuto per più di venticinque anni in Asia, era la guerra dei sessi, combattuta in una direzione soltanto: le donne contro gli uomini. Seduto ai piedi di un grande albero a Central Park, le stavo a guardare. Le donne: sane, dure, sicure di sé, robotiche. Prima passavano sudate, a fare il loro jogging quotidiano in tenute attillatissime, provocanti, con i capelli a coda di cavallo; più tardi passavano vestite in uniforme da ufficio – tailleur nero, scarpe nere, borsa nera con il computer – i capelli ancora umidi di doccia, sciolti. Belle e gelide, anche fisicamente arroganti e sprezzanti. Tutto quello che la mia generazione considerava «femminile» è scomparso, volutamente cancellato da questa nuova, perversa idea di eliminare le differenze, di rendere tutti uguali e fare delle donne delle brutte copie degli uomini.

 


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