I “papà inutili” privati dei figli e poi rimborsati – di Daniela Missaglia

L’affidamento dei bimbi alle madri è visto come un “diritto naturale”. E ai padri vengono tolti dignità e spazi. Ma qualcosa sta cambiando

Daniela MissagliaMentre ascoltavo il flusso di parole di quest’uomo sofferente seduto di fronte a me, lo stupore di cui ancora sono capace, dopo tanti anni, ha invaso la stanza disegnando sulle pareti, sulla scrivania, sui codici sparsi qua e là l’interrogativo che più mi sgomenta: «Perché?».

Perché ancora una volta siamo a questo punto? Ho scritto libri (fra cui Scarti di famiglia – storie di separazioni conflittuali e di figli calpestati ) nei quali rivivevo la tragicità di situazioni in cui i minori si trasformavano, da proiezione dell’amore coniugale a strumento di lotta, di saccheggio dell’altrui dignità, di somma punizione e ho narrato gli sforzi profusi per definire – non solo giudizialmente – queste degenerazioni della crisi sentimentale riconducendole nel solco dell’armonizzazione dei rapporti a tutela delle vittime di questi conflitti, i bambini in primis , ma anche i genitori defraudati da questo dono e diritto naturale.

Ciò nonostante mi inseguono, da tutta Italia e non solo, vicende in cui sempre più spesso si crea un cortocircuito impazzito fra psiche umana, difensori ciecamente schierati, giudici miopi, enti territoriali (in specie Servizi sociali) inefficienti, un fenomeno che letteralmente svuota la genitorialità deprivandola delle sue prerogative minimali.

È il caso dei genitori, padri prevalentemente, che non riescono più a vedere i loro bambini o vengono canalizzati attraverso modalità di visita tali da rendere il sacrosanto e naturale rapporto con i loro figli un calvario insopportabile.

arf4342651_nIl rischio più grande avviene quando il conflitto genitoriale si sviluppa contestualmente alla nascita del bambino, allorché subentri il convincimento, anche da parte dei giudici, che la figura paterna sia fungibile o non indispensabile, al contrario – invece – di quella materna: mi sono scontrata con Tribunali e Corti d’Appello che teorizzano una sorta di «diritto naturale» del bambino a non separarsi pressoché mai dalla madre, come se un padre non potesse sopperire in egual modo ai bisogni primari del lattante.

Mi sono imbattuta in regolamentazioni tanto restrittive quanto umilianti, come se il fatto di non aver portato in grembo una creatura definisca il padre quale accessorio non indispensabile e persino pericoloso per la serenità quotidiana del minore. Poi vi sono i padri che, vuoi per un’accusa malevola e strategica, vuoi per un giudizio superficiale o la strumentalizzazione di una debolezza, vengono colpiti su questo fronte da madri vendicative che, ad un certo punto, si arrogano lo ius vitae et necis dell’altrui genitorialità, utilizzando nel conflitto in corso l’arma più deflagrante, quella più spietata: sollecitando nel giudice frettoloso dubbi di un pregiudizio imminente al minore, sovente certe madri riescono ad ottenere una moratoria delle visite, una loro compressione importante, più spesso la limitazione delle stesse in ambito di «spazio neutro», vigilato, monitorato dai Servizi sociali o da personale da questi delegato.

La naturalità e spontaneità dei rapporti padre-figlio viene umiliata con pregiudizio del padre ma anche del figlio stesso: ho assistito uomini costretti a vedere la prole due ore alla settimana in un centro commerciale, altri in un anonimo locale del Comune, altri solo presso la casa materna, con buona pace di qualunque intimità, spontaneità, empatia fra il genitore ed il figlio.

Non c’è ristoro che possa riparare i danni prodotti, anni perduti, esperienze cancellate, affettività compromessa, fiducia da ricostruire, equilibri vanificati.

L’esperienza forse più toccante della mia carriera è stata quella di un amorevole padre che, ottenuta finalmente giustizia e la possibilità di esercitare liberamente il suo ruolo dopo anni di umiliazioni e conflitti degenerati dal cortocircuito poc’anzi descritto, si è infine prematuramente ammalato ed è spirato in poco tempo per un male incurabile, una beffa del destino ma anche un effetto, verosimilmente, di uno stress che certamente in siffatte vicende raggiunge apici inimmaginabili.

Sempre più frequenti sono le sentenze che riconoscono a questi padri un diritto risarcitorio: scrive la Cassazione in una pronuncia del 2011 «sicuramente responsabile di ciò, alla luce delle risultanze processuali, è da ritenersi la resistente che, con il suo ostinato, caparbio e reiterato comportamento, cosciente e volontario, è venuta meno al fondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, ma anzi di favorire la partecipazione dell’altro genitore alla crescita ed alla vita affettiva del figlio causando all’attore, che con questo processo ne chiede il ristoro, un danno non patrimoniale da intendersi nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica».

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Ma questi denari non ripagano le sofferenze patite e ciò che si è perduto quando si viene ostacolati nei confronti di un figlio non ha valore economicamente apprezzabile.

Soprattutto si sottovaluta colpevolmente il danno che si procura al minore stesso, imbrigliato in questi meccanismi di lotta fra adulti: in un saggio intitolato Fatherless America scritto dallo statunitense David Blankenhorn vengono affrontati gli effetti pratici di un mondo «senza padri», sia che essi vengano – come nei casi descritti – pretermessi violentemente dalla famiglia sia che essi rinuncino volontariamente ad esercitare il loro ruolo.

L’autore traccia un quadro inquietante nel quale arriva a citare statistiche in base alle quali l’assenza del padre accresce il rischio di abusi sessuali sul minore, esperienze sessuali precoci, depressione, devianze comportamentali.

È paradossale come il legislatore italiano, fin dalla L. 54/2006 abbia sospinto il concetto di bi-genitorialità e poi consenta, nelle pieghe della legge e dell’applicazione pratica della stessa, che ancora oggi troppi genitori vengano ostacolati o impediti nell’esercizio del loro primigenio diritto.

San Matteo, l’evangelista, diceva (7:11) che un padre amorevole dovrebbe «saper dare doni buoni ai suoi figli»: umilmente aggiungo che dovrebbero essere messi sempre in condizione di poterlo fare.

Da “Il Giornale” Sabato 27 dicembre 2014