Le uova di garofano rosso

“Le uova di garofano rosso” intervista a Silvano Agosti
Venezia Lido, settembre 1991

D. I bambini che recitano nel film, dovendo interpretare delle parti che fondamentalmente sono del regista, non rischiano di essere forzati e trasformati nella loro personalità?
R. In una tradizione culturale che ignora la morte violenta di dodici milioni di bambini, fare una considerazione come la tua è sicuramente paradossale in quanto i tuoi genitori, insieme con i miei e con altri, hanno contribuito a servirci sul vassoio settanta milioni di morti «cresciuti» e dodici milioni di morti «bambini». In questo contesto, quando tu dici: «non credi di aver un po’ forzato…»… mi sembra una cosa paradossale. Però fa anche piacere questa sensibilità; intanto, io con i bambini non ho stabilito un rapporto ma credo che loro abbiano capito immediatamente che io ero uno di loro e quindi loro si sono trovati semplicemente a loro agio ed hanno fatto le cose che fanno sempre. Purtroppo loro non sono qua, ma se tu domandassi a loro… credo che non si siano neppure accorti di fare il film, tranne una volta che io gli ho chiesto di camminare a piedi nudi perché io da bambino non avevo le scarpe e allora… però dopo si divertivano… Non credo di aver forzato i bambini. Semmai una certa forzatura ho dovuto operarla sugli attori che come tu sai sono dei professionisti della bugia: con la scusa che devono simulare la verità mentono sempre. Io ho fatto in modo che loro tornassero ai loro gesti e ai loro sguardi primari: gli stessi sguardi che avrebbero avuto incontrando una persona o… così, mangiando una mela… Con i bambini mi sono trovato particolarmente bene, così come mi sono trovato bene con i personaggi. Nel film ci sono circa 86 personaggi due sono attori e gli altri 84 sono invece persone di Brescia.
D. Cos’è per Silvano Agosti la storia dell’umanità?
R. Non esiste una storia; esiste un confluire di infiniti destini verso un progetto, che secondo me è la conservazione della vita.
D. E la storia come grande menzogna?
R. Gli storici non sono capaci di raccontare l’insieme di questi destini comuni e dicono, per esempio, che Napoleone era un bravuomo perché… capito?… E allora non siamo d’accordo, non ci può essere accordo.
D. Ancora un film sul fascismo. Perché non occuparsi di guerre a noi più prossime, magari di quella che si sta svolgendo in Iugoslavia?
R. Andare a filmare in Iugoslavia adesso sarebbe per me un’operazione retrograda rispetto al film che ho fatto nel senso che… io sono stato a filmare anche situazioni molto drammatiche come, per esempio, quando in Grecia c’era Panagulis… io sono stato ad Atene, c’erano i Colonnelli e c’è stato un momento in cui mi cercavano quasi duemilacinquecento poliziotti. Filmavo questo documento che era tanto impressionante che anche la televisione svedese lo ha censurato e ha levato due scene che riteneva troppo forti emotivamente. io, però, non è che vada là dove c’è la guerra, o che mi metta a dormire nella mia macchina; se però una mattina mi sveglio, come mi è realmente capitato, e c’è un uomo che dorme nella mia macchina faccio in modo che lui ci stia quanto gli pare… (e infatti c’è rimasto 5 anni!). Del resto se lui va via non è che che io resti frustrato al punto di andargli dietro ecc. ecc…. se va via, va via…. fa parte della sua libertà. Quindi se domani la guerra dovesse venire qua, io che sono testimone di ciò che accade sicuramente trascuro qualsiasi finzione per filmare, ma non ho la competenza per andare a filmare la guerra in Iugoslavia.
D. Per la tua generazione cosa ha rappresentato la guerra?
R. Per la mia generazione la guerra era una cosa fantastica, era uno spettacolo straordinario: non capivamo che i morti erano degli ex-vivi… pensavamo che fossero un popolo come i tedeschi, gli inglesi, i turchi. Mi ricordo che quando andavamo a rubare l’alluminio sui treni, io una volta ho messo il piedino su un ferroviere morto e, sentendo il morbido della pancia, ho detto: «Però come sono gentili i morti: gli ho messo un piede sulla pancia e non ha detto niente…”. Quindi io vivevo così… non ho mai pensato che quando l’aereo si schiantava contro la montagna il pilota moriva. Noi andavamo a prendere i pezzi d’aereo ma non avevamo idea… Invece io, come si vede nel film, ho avuto un vero shock quando ho visto un passero morto in mezzo a quell’ospedale bombardato dove erano morti oltre ottanta bambini e io mi ero salvato perché ero nella portineria con una bambina che aveva gli orecchioni… non c’era posto… e attraversando tutti quei cadaveri io sono rimasto davvero shockato quando ho visto quel passero morto… Io ero abituato a vedere i passeri volare e vederlo lì per me fu uno shock terribile… Questo per dirti come è diverso il punto di vista e la sensibilità dei bambini. Nella scena del film è piuttosto esplicito questo fatto. in un certo senso lì è lui, il bambino, che “porta avanti” la vita degli altri bambini morti… Poco importa… Invece chi porta avanti la vita del passero? Nessuno, perché lui non è un uccello… E’ un bambino! In questo senso ti dicevo che per me la storia è questo confluire di destini verso un progetto misterioso di dare alla vita la propria caratteristica di eternità.
D. Per quale ragione gli adulti mentono?
R. Perché sono adulti!
D. E il buono del film, Crimen, mente come gli altri?
R. Crimen è anche uno che ha pagato con trentasette anni di manicomio criminale il fatto di non aver voluto dire dove fosse il corpo di sua moglie – è vera questa storia e realmente egli ha fatto trentasette anni di manicomio criminale -. Ma Crimen è uno che ha passato tutta la sua vita nell’immaginario, nel fantastico come fanno le mucche… Se voi osservate una vacca vedete che ha uno sguardo estremamente poetico che trascorre la sua vita nell’elementarità massima: è lì, guarda… Così uno che trascorre trentasette anni della propria vita in un manicomio criminale cosa fa se non immaginare continuamente? Quindi Crimen è come una specie di santo laico nel senso che lui è uno che la sa lunga; tanto è vero che avendo vissuto in modo così eterno il tempo, come è tipico di chi lo trascorre in una cella, lui lo eternizza per l’eternità… dice: “Io sento che adesso devo raggiungerti…” …C’è la moglie che lo aspetta lì da quarant’anni e si distende vicino a lei per l’eternità…. E’ lui che compie un atto che sa rà poi eterno. Io, ad esempio, mi commuovo sempre quando vedo quella scena di lui che va a morire perché c’è qualcosa di estremamente misterioso in quell’azione che non è repulsiva come il suicidio – Crimen non si suicida! -. E anche il sogno premonitore del bambino che lo vede morire prima che arrivino i suoi fratelli a dirgli che Crimen è morto… lui sa già… perché non è una morte, insomma… Il film dice che voi dovete essere felici perché non è una morte; nel film Crimen dice: “Voi dovete essere felici quando farò questo….”. Tanto è vero che il bambino è talmente felice che, nonostante la malattia e l’incubo del delirio (vede il mostro che gli dice: anche tu morirai!), si gira e vede l’immagine della zia nuda con in braccio l’infanzia e che nella sua ingenuità di bambino egli vede come la Madonna anche se si tratta di un’immagine di santità laica. Io sono molto interessato alla spiritualità laica, non gestita da una cultura confessionale.
D. Tu hai fatto un film in cui attacchi la non coerenza e la superficialità spirituale di molti cattolici…
R. T i riferisci al mio film plurisequestrato «Nel più alto dei cieli. Io in quel caso ho fatto un’operazione anatomica, purtroppo, non poetica… ma lo sapevo dall’inizio, nel senso che io facevo vedere ciò che di morto c’è nel dogma: quando una persona cede la propria coscienza ad un dogma è morta… E ciò che è morto è morto!
D. L’Italia è un paese cattolico?
R. L’Italia è un paese, come tu sai, mafioso sia in termini sociali, sia in termini spirituali. Il meccanismo che gestisce la logica della mafia in senso economico è lo stesso che gestisce la spiritualità. E’ come una specie di continuità mafiosa che parte dal dato economico e finisce nel dato emotivo e metafisico. C’è una ferocia assoluta nel trasformare il sentimento del mistero in una gestione religiosa di tipo confessionale… una ferocia assoluta come un ricatto mafioso. Voi sapete che oggi la mafia basa il proprio potere economico sull’eroina. E cosà è l’eroina se non un surrogato macabro del naturale desiderio di felicità che c’è nell’uomo? E cosa è la religiosità confessionale, se non un surrogato altrettanto macabro di una naturale pulsione dell’uomo verso il mistero. Questo per me … certo, io non voglio offendere nessuno…
D. E per chi volesse «salvarsi», quali strade suggerisci?
R. Intanto uno che ha il problema di salvarsi significa che già ritiene di essere in uno stato di grave pericolo. Non credo che uno che sta seduto sulla spiaggia abbia il problema di salvarsi; il problema di salvarsi ce l’ha uno che è in mezzo alla tempesta, in mare, e che non ha un appiglio… Grosso modo io mi sento di dire che una persona non deve essere in vendita, a nessun prezzo. Io spero che se uno ti dicesse: «Mi vendi il tuo cuore?» Tu dica «No». E l’altro: «Ma ti do mille miliardi…». E tu: «No». E ancora : «Ti do un milione di miliardi…». E tu allora cominci a pensare «Beh, forse con un milione di miliardi mi potrei fare un cuore artificiale…». Ecco, quel pensiero è già un pensiero perverso… il pensiero che si possa perdere la propria vita. Quindi se uno non ha la capacità di pensare che questo è un modo perverso, non ha neanche il problema di salvarsi perché è già salvo.
D. Se il concetto fondamentale del tuo film è che tutto è menzogna (la storia è menzogna, gli adulti sono… menzogna e il loro mondo è una menzogna continua) cosa rimane? Forse la verità della menzogna?
R. Ogni nascita umana o di qualsiasi emozione è una verità. Se però tu guardi una persona, ti piace e vuoi toccarla… questo desiderio è vero; però tu sei abituato a dare a quella persona del Lei, sai che ha un’altra età ecc. ecc… non dai una risposta, non dai vita a questa tua necessità e, invece di toccarla, gli dici: «Ma a te piacciono i film di…». In quel momento tu menti in modo spudorato e sei responsabile della tua menzogna. E’ in questo senso che io dico che noi viviamo in una cultura della menzogna.
D. Che esista una eventuale responsabilità è scontato. Mi interesserebbe sapere se, secondo il tuo pensiero, si tratta di una responsabilità diretta oppure condizionata?
R. Ognuno è personalmente responsabile non solo del fatto che egli mente ma anche di tutte le menzogne che vengono dette. La responsabilità è personale e molto grande. Tutti noi sappiamo esattamente quando stiamo mentendo, se abbiamo mentito o se continuiamo a mentire. Una volta, a Bassano del Grappa, mi trovavo in un cinema per presentare un mio film. Ad un certo momento un ragazzo – ce n’erano tantissimi – si alzò e disse: «Io sono contrario a qualsiasi forma di violenza!». Io dissi: «E’ falso, non è vero che tu sei contrario…». E lui: «No, io sono contrario». «E’ falso – dissi – ed io te lo proverò!». «Va bene, prova…». Allora lo feci venire vicino a me e con la mia mano gli coprii il naso e la bocca… Lui che aveva dell’orgoglio un po’ scioccarello resisteva tanto che io pensavo: “Io questo qui lo ammazzo… se fa il cretino… io tengo!”. Quando però lui senti che veramente stava morendo mi dette un colpo talmente forte da scaraventarmi a tre metri di distanza… E allora vedi che ad un certo punto, di fronte alla necessità di vivere, tu scegli qualsiasi cosa.
D. E una persona che per difendere un ideale accetta anche il pensiero di morire?
R. E’ uno psicopatico uno che si fa ammazzare… E’ una persona gravemente tarata.
D. E chi rischia la propria vita, è diverso?
R. No.. tutti rischiamo la nostra vita…
D. E chi espone volontariamente, per un ideale o per qualcosa creduto importante, la propria vita a consistenti rischi di morte? A proposito di guerra cosa pensi dei movimenti popolari in generale? A proposito delle vicende umane narrate nel tuo film, quali valori individui nella nostra Resistenza?
R. Non ti vorrei deludere, ma chi ha preso le armi durante la resistenza, almeno nella stragrande maggioranza, diceva: «Piuttosto che morire al fronte è meglio morire a casa mia!». in seconda istanza, la resistenza è nata dopo la caduta di Mussolini; prima della caduta di Mussolini non c’è stata nessuna resistenza… Quando un regime perde, come per esempio negli altri paesi dell’Europa, non gli viene perdonato di perdere e, allora, nasce la ferocia. E poi nasce il mito. A te hanno raccontato che erano eroi e che davano la vita… E’ assolutamente falso… Certo, c’erano anche degli straordinari esseri umani che però già da prima, dalle origini, erano stati carcerati, torturati… cioè, in pratica, continuavano la loro coerente azione. Ma nel mio film c’è anche quel povero diavolo che prima è un gerarca fascista e poi viene con il fazzoletto verde del democristiano a fare il partigiano… Questa è l’origine vera, questo è stato il camuffamento. Anche perché, se avessero fatto la Resistenza tutti quelli che dic ono di averla fatta, ci sarebbe da chiedersi chi era fascista e contro chi combatteva. Mentre un mese prima erano tutti fascisti… Le stesse persone che ai miei fratelli avevano regalato i vestitini dicevano che avevano sempre combattuto… E’ un modo spudorato… Io ho visto l’altro giorno un’intervista che mi ha fatto veramente piangere il cuore… Un’intervista di Lama… Lama, il senatore, ha detto: «Il partito comunista, non solo l’avrei bandito, ma l’avrei soppresso!» Proprio lui che era un convinto comunista fino ad un anno fa…. quindi questa miseria morale. Tutti i nostri padri erano fascisti e molti lo sono ancora, ma lo erano per ragioni diverse: c’era chi pensava che Mussolini, essendo un socialista, tentasse di realizzare il socialismo reale; c’era chi diceva: «In fondo questi qua ci danno da mangiare…» e poi c’era chi era fascista per opportunismo.
D. Nel film la figura della donna appare forse meno menzognera rispetto all’uomo. E’ così anche nella realtà?
R. Quando nel film la madre dice al padre «L’hai trovata?» lei sa benissimo dov’è la figlia. Lì c’è un modo diverso di mentire: la madre mente in senso progressista e il padre in senso reazionario: il padre mente perché ha paura e la madre mente perché dice: «Va beh, questa ragazza ormai è grandicella: è normale che faccia certe cose…» Mentono tutti e due. Facendo un esempio più vicino a noi è facile capire che se una ragazza dicesse a sua madre: «Sai, ho incontrato un ragazzo molto simpatico e vado a fare un giro con lui nei campi». Molto probabilmente la mamma risponderebbe: «No, stai lì!» Se invece la stessa ragazza dicesse a sua madre: «Vado a studiare da Emilia…» Lei – la madre – saprebbe benissimo che la ragazza andrà tra i campi con il ragazzo, ma preferisce non sentire… Oppure il marito alla moglie che invece di dire prendi il sale le dice «Hai visto il sale?» oppure «Dov’è il sale?»… a pranzo… sarà capitato. Ma perché un marito che è un essere umano non dice: «Portami il sale!»? La risposta è che dopo trent’anni che un essere umano dice ad un altro essere umano: «portami il sale», l’altro essere umano può dirgli: «Senti un po’: io sono trent’anni che ti porto il sale! adesso prenditelo da solo!». Se invece lui dice: «Hai visto il sale?» o «Dov’è il sale?», l’altro essere umano gli dice… ma lui può rispondere: «Si, ma guarda che io non ti ho mai chiesto niente, ti ho solo chiesto dov’era il sale!» Capito…? La menzogna… Non è mica che il marito sia cattivo; è che lui è scolpito nella menzogna… è questa la cultura corrente, cioè: tu sei la donna e devi andare a prendere il sale, io sono l’uomo e devo stare seduto. Questi sono i ruoli! Lui si sentirebbe persino menomato ad alzarsi a prendere il sale non sapendo che invece sarebbe la cosa più bella che potesse fare.
D. Il film vuol comunicare anche la bellezza dell’infanzia invitando a tornare, in qualche maniera, ad essere dei bambini?
R. Con gli adulti non parlo. Come non parlavo con loro da bambino, non ci parlo nemmeno adesso. Il film io lo faccio per quelli che hanno bisogno di sentire che stanno vivendo un percorso vero. C’è molta gente nell’oscurità della sala che dice: «Questo è ciò che penso io!» e allora la stessa gente ne trae un conforto reale… A me però non importa niente di redimere ciò che è irredimibile: uno che fa il funzionario, il padre, il marito… Cosa vuoi che vada a dirgli io? …. Io non gli parlo!
D. Potresti essere paragonato a Peter Pan?
R. Sì, certo, abbiamo la diversità che lui volava davvero, invece io volo con la mia mente e vado, tutti i giorni (consiglio anche a voi questa pratica a cui io ricorro dall’adolescenza) con l’immaginazione a farmi un giro dell’universo. Nell’ultimo romanzo che ho scritto e che si chiama «La ragion pura», il libro finisce proprio con questo giro oltre le porte di Urano e… Io mi immagino: parto, poi la luna, il sole… vado, vado, vado lontano, lontano… C’è un senso fantastico di presa di possesso dell’universo. Questo senso di immaginazione è un patrimonio!
D. Ti senti più adulto o bambino?
R. Io non mi sono mai sentito un adulto e sarei un deficiente a sentirmi bambino. Io sono un uomo… però è come se tu dicessi ad un albero: «Ti senti più seme, più arboscello o più albero?» Lui ti dice: «Ma cosa stai dicendo, io sono un albero!» «Vuoi saper… Sì, sono il derivato di un seme!» Ma se tu domandi ad un palo, lui non ti può più rispondere.
D. Tu, tra le righe, hai detto che gli adulti sono «persone morte»…
R. Infatti, il palo io lo paragono ad un adulto. Ad un palo: «Ma tu derivi da un seme oppure…?» Niente, il palo tace e poi non dirà niente perché non ha radici. è piantato. Poi… ci sono dei miracoli! Ci sono dei pali della luce che hanno fatto venir fuori delle foglie certe volte… Io li ho visti!” Io li ho visti davvero… dei pali della luce con delle gemme… si vede che si era… Non lo so: un vero miracolo!
D. Perché si sceglie di stare ai margini del cinema come hai fatto tu?
R. Io non so se sarebbe esatto… Mettiamo che tu sai che questo è un campo minato… Tu allora cammini fuori dal campo. E uno ti dice: «Come mai hai scelto di camminare fuori dal campo?» E tu gli dici: «E’ naturale… se vado lì esplode!»
D. Ma il cinema è un campo minato?
R. Il cinema industriale è esattamente come le sabbie mobili: più tu entri, più ti ingoia; mentre se tu stai fuori…
D. Chi è stato ingoiato dal cinema?
R. Tutti, quasi tutti meno alcuni. Ad esempio Bergman; per esempio Fellini che è un tipico esempio di una persona stritolata dall’industria del cinema: un uomo di grandissimo talento che fa dei film di una mediocrità assoluta. Non è, stiamo attenti, una questione di età perché Verdi ha scelto il Faust a ottant’anni e Fellini non ha ancora ottant’anni… Però ha fatto «La voce della luna» che è un film che se non l’avesse fatto lui… i critici l’avrebbero fatto ricoverare! E invece c’erano delle pagine grandi “così” con scritto che era un capolavoro…
D. Un’ultima domanda: si era più felici quarant’anni fa oppure adesso? E la giovinezza… Era più facile essere giovani a quei tempi?
R. Le infanzie sono tutte uguali…
D. Oggi i sociologi parlano di un malessere profondo e diffuso che attraversa tutta la generazione giovanile…
R. Trenta o quarant’anni fa il malessere era ancora più feroce!
D. Forse i giovani di allora avevano meno dubbi su cosa fare nella vita?
R. No… Nessuno sapeva cosa fare. Io, per esempio, sono scappato istintivamente da Brescia; sono scappato via perché era ed è una città di banche e preti per cui non c’era il minimo spazio per la vita… proprio non c’era! Tanto è vero che io ricordo il senso di afa profonda per la mediocrità della vita che si svolgeva lì tutti i giorni… non c’è mai stato un posto di dignità. Non c’era allora e non c’è adesso! Però i giovani oggi possono benissimo fare come le rondini che quando hanno imparato a volare se ne vanno via. Voi giovani, se volete veramente amare le persone che vi hanno procreato, ve ne dovete andare: ognuno nel continente della propria autonomia, pagandovi da mangiare, pagandovi da dormire con un lavoro di un ora, due ore al giorno… allora comincerete a sentire come è diversa la musicalità del vivere…
D. E’ solo un luogo comune dire che un tempo era meglio…?
R. E’ assolutamente falso. Fa parte di una retorica estremamente fascista: vuol dire che il passato era meglio. A parte il fatto che il passato è una burla perché non c’è: ciò che noi viviamo è il presente; anche nel mio film ho cercato di rendere evidente questa osmosi per cui all’inizio non capisce… Quando poi si è ormai abituato a percepire il passato, scopre che in realtà era il presente.