Quelle azioni “inutili” che ci fanno scoprire il Vero, il Bello e il Bene – Quotidianità e ricerca dell’ASSOLUTO.

Si sente dire ai nostri giorni che l’individualismo moderno, misto di cinismo e frenesia consumistica, conduce a una rinuncia definitiva all’assoluto. Si è dunque condannati a questa alternativa sterile di vuoto e di troppo pieno, a scegliere tra la rottura con l’assoluto e la sottomissione a un assoluto oppressivo? È qualcosa che gli uomini e le donne del nostro tempo non accettano piú. Senza rinunciare del tutto alla sanzione esteriore (ammirazione) che può accordare loro la pubblica opinione, si nutrono altrettanto, se non di piú, di un sentimento intimo di realizzazione e di qualità della vita.

Constatano in effetti, che un buon numero delle loro azioni, alle quali non hanno alcuna intenzione di rinunciare, non hanno significato né per la logica del consumo né per quella del riconoscimento sociale, e non si spiegano né con la ricerca del piacere immediato né con quella del successo. Un posto centrale fra tali azioni è occupato dai rapporti con gli altri esseri umani, di cui la forma piú apprezzata è l’amore: quello di un amante per l’altro, ma anche del genitore per il figlio (e viceversa), di un amico per l’altro. Si desidera essere fra le persone che si amano non per far progredire la propria carriera e nemmeno per divertirsi: si gioisce della loro esistenza. Un’altra attività che sfugge alla logica dell’apparire e del consumo è quella che parte da un confronto del nostro spirito con il mondo circostante: si tratta del bisogno di conoscere e di creare. La pulsione che ci conduce a cercare una migliore comprensione della natura e della cultura è alla base della ricerca scientifica, ma anche di mille azioni quotidiane; non è apparentata al consumo, non piú di quanto lo sia quell’altro bisogno che è la creazione, sublimata nelle attività artistiche ma, ancora una volta, pure nella famiglia. Appartiene infine a questo medesimo insieme il lavoro a cui ci si dedica in vista di un perfezionamento interiore, di una realizzazione personale, e che giunge ad avvicinarsi fino a un passo dalla saggezza.

Quello che tali diverse azioni hanno in comune è duplice. Da un lato, esse non hanno un carattere direttamente utilitario. Per quanto io speri, mettiamo, che i miei slanci verso la sapienza, i miei tormenti di artista mi assicurino la considerazione dei miei contemporanei, non è questa la ragione per cui mi sono avviato sulla strada della riflessione e della scrittura. Al contempo, se queste azioni mi portano una soddisfazione piú intensa, è proprio perché mi danno l’impressione di entrare in contatto con delle categorie universali: il Vero, il Bello, il Bene, e l’Amore. Categorie che non trovano la loro origine in noi stessi. Noi arriviamo allora al paradosso dell’assoluto individuale, conquistato in piena libertà e non dipendente dalla volontà di soggetti particolari. L’idea stessa di un assoluto individuale è, sia chiaro, problematica: se ciascun individuo decide sovranamente quello che nella sua vita sarà assoluto, non siamo ricondotti a quel relativismo da cui credevamo di fuggire? Ma questo problema non è insolubile: il fatto è che non si tratta mai di una scelta arbitraria. Ciascuno di noi fa la scoperta di qualcosa che, pur essendo in lui, lo oltrepassa; di qualche cosa che, pur essendo messa in luce da uno solo, può essere comunicato ad altri. Paradossale non significa inesistente: è la presenza di questo assoluto individuale che ci fa percepire la differenza tra una vita che qualifichiamo come bella o ricca di significato e una vita solamente adorna di risultati materiali o piaceri.

Se si vuol trovare l’assoluto allo stato puro ci si trova confinati alla morte e al nulla: invece la vita è forzatamente imperfetta e peritura. Questo spiega la predilezione dell’immaginario umano per gli stati estremi, che costituiscono l’emblema piú sicuro dell’assoluto. Il sacrificio dell’amante, o quello dell’amato, prova la qualità dell’amore! Si può riconoscere la pienezza dell’assoluto anche all’interno del nostro mondo finito e imperfetto. Cartesio diceva: «Non esiste uomo così imperfetto che non si possa provare per lui un’amicizia perfetta». Tali sentimenti non provengono da una qualità dell’oggetto ma da una disposizione del soggetto. Quel che ci colpisce nell’amore fra un genitore e suo figlio non è la qualità dell’uno o dell’altro, ma quella dello slancio che li porta l’uno verso l’altro. Succede lo stesso con l’amore; l’assoluto non sta là, al di fuori di noi, aspettando che lo si vada a cogliere, ma deve essere fabbricato a ogni istante: la casualità di un incontro diventa la necessità di una vita. Ma poi può sparire altrettanto facilmente.

Come apparirà a ciascuno questa via di realizzazione interiore? Starà a lui scoprirlo: l’epoca delle risposte collettive è passata, anche se l’individuo può ancora sperare che gli altri attorno a lui comprendano le sue scelte e le condividano. Ma già si può dire che per ottenere questa bellezza o questa saggezza non è indispensabile scrivere o leggere dei libri, dipingere o guardare dei quadri, come non lo era pregare Dio o prostrarsi davanti agli idoli, fondare la Città ideale o battersi contro i suoi nemici. Lo si può fare contemplando il cielo stellato sopra le nostre teste o la legge morale nei nostri cuori, dispiegando le proprie forze intellettuali o dedicandosi al prossimo, lavorando al proprio giardino o costruendo un muro ben diritto, preparando il pasto della sera o giocando con un bambino.

gf

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