Le emozioni che non danno la felicità

Wow, Francesca!
Arriva di tutto con la posta tranne che te.
Tu proprio non arrivi.

Anche ieri che hai detto di essere lì per dare notizie di te, qualcosa è poi andato storto e i tuoi pensieri sono rimasti tutti tuoi.

Mi hai detto di non essere ansioso.
Sul momento ti ho presa sul serio giacché in molte situazioni della mia vita l’ansia si è realmente manifestata e talvolta si manifesta tuttora.
Poi ho pensato che l’ansia in questo caso non c’entra proprio niente.
Ansia è paura per qualcosa di fortemente negativo che potrebbe accadere e che viene “anticipato” nell’istante esatto del pensiero.

E allora puoi dirmi di cosa dovrei aver paura adesso io?
Puoi ricordarmi cosa potresti farmi (ancora) tu?
Chiama pure l’impazienza come vuoi, ma ansia proprio non rende l’idea… anzi avvolge di “patologico” qualcosa che mi sembra più che normale….
Probabilmente è semplicemente desiderio di sapere cosa pensi, se può esistere qualcosa che giustifichi il fatto che io possa stare ancora ad ascoltare ciò che dici di potermi dire.

Credimi, lo ho fatto così tante volte che dovessi raccontarlo sarei sicuramente in imbarazzo.

ADDIO…

Lo avevo già deciso ieri e avevo usato un bel po’ di energie per convincermi che la strada da seguire era quella di interrompere questo strano rapporto esistente tra noi.
Sai bene quanto potesse dispiacermi buttare lì quelle parole… In ogni caso mi ero lasciato un filo di speranza e se fai attenzione troverai scritto ADDIO ma non troverai MAI PIU’.
Sono due cose fondamentalmente diverse.

Addio, almeno nelle mie intenzioni, voleva e vuole solo dire che avrei pensato di rivederti solo in mutate circostanze, circostanze che mi rendo conto di non poter in alcun modo modificare se non solo superficialmente.
Vuole comunque anche dire accettare la possibilità di non rivederti mai più.

Che senso ha – continuo a chiedermi – rincorrere qualcosa che non potrà mai far parte della mia vita o qualcuno che non avrà mai la volontà piena di accettarmi nella sua vita?
Cosa mai potremo fare insieme? Cosa resterà alla fine di tanto sforzo? Cosa lasceremo di minimamente profondo e umanamente indelebile?

Del resto sono convinto che per le “intese” occasionali e superficiali non ci possa essere né presente né futuro: nessuna speranza di felicità degna di tale nome. Magari episodi di ebrezza, emozioni ricche di fascino….
Io non so dirti cosa sia la felicità, quindi inutile chiedermelo….
Non so spiegarlo né so tradurre in parole quel che sento possa darci felicità.

Definizioni di felicità prese a prestito qua e là non sono neanche queste soddisfacenti.
Ho avuto tanti momenti di serenità… un po’ meno di felicità.

Felicità – qualcuno ha cercato di spiegarmi – è rompere il guscio, uscire da sé stessi, vivere per qualcosa che si pensa più grande ed importante. Ma che vuol dire anche questo? Può bastare?….
Vorrei poterti dire che sono felice quando sono con te… ma la felicità – di questo sono quasi certo – non si costruisce da soli.
E allora posso solo dirmi che sono emozionato quando sono con te.

Dopo infiniti tentativi di convincermi del contrario ho deciso che questo non mi basta, anzi che non è giusto accontentarsi di questi surrogati di sentimenti giacché ognuno ha il diritto e insieme il dovere di cercare la felicità. Felicità per sé e per gli altri.

Forse leggerai queste mie righe o forse le butterai in un angolo della tua mente come spesso capita, come spesso hai fatto. Non voglio che tu pensi che non ho il coraggio di dirti questo di persona, e tante volte del resto ho provato a parlarti cercando la tua attenzione.

Questa allora non è che una piccola stigmate su quello che è stato, qualcosa di scritto che non potrai con il tempo dimenticare o alterare per crearti una versione comoda.
Sono sfinito, ho perso l’entusiasmo e la voglia di parlarti e di farti capire cosa provo e quello che sento, forse perchè spesso mi sembra che ci sia solo tu nei tuoi pensieri, solo tu e le tue problematiche e che tutto giri intorno a quello che tu pensi.

Sono arrabbiato di vedere come tutto quello che abbiamo vissuto e tutto quello che ti ho detto possa divenire solo motivo di discussione o di interpretazione della realtà.
Sono offeso di vedere che di me, in fondo non ti interessa tanto, che in fondo sono come un giocattolo appoggiato in un angolo che ogni tanto ti ricordi di spolverare.

Non so se mai hai pensato che le cose non si puliscono da sole, che l’acqua non nutre una pianta in casa se non gliela metti tu.
Sono questo io, una pianta assetata che attende e che attenderà fino alla morte del sentimento che ormai sento approssimarsi. Una fine detestata, a volte disperatamente cercata, poi sempre respinta… Ma anche un epilogo necessario fosse altro che per l’urgenza di sopravvivere.

Ti scrivo per dirti che non riesco più ad accettare di esserti vicino in questo modo, che forse non riesco più a provare quello che pensavo bello, ormai sono troppo stanco anche solo per parlarti: sarebbe solo un ennesimo momento di nulla che riempie le mie notti.

Grazie di quello che sei stata, grazie di avermi fatto sentire importante (è accaduto un casino di volte!), grazie di avermi insegnato che non sei pronta a ricevermi, se tutto quello che ti dò non sai dove metterlo.

Resta la voglia di quell’Addio… il desiderio fortissimo che qualcosa cambi e che trasformi la realtà che ci unisce e che, al tempo stesso, ci tiene distanti. Voglio che questo – se dovesse avvenire – avvenga senza attendere inutilmente che il tempo scorra e sorpassi le nostre vite… Che “la cosa” si compia, adesso. Troppo lunga è stata l’attesa.

Io sono qui. Sono lo stesso di sempre. Vorrei scoprirti meno distante. Vorrei queste cose…  on line pharmacy tu sai bene che questo in gran parte dipende da te, da quello che soprattutto vorrai decidere di voler fare della tua vita.

Ti ho voluto bene e ho desiderato averti a fianco come mai è accaduto per nessun altro.  E’ successo per anni interi in cui ti ho amata in completa solitudine e te lo ho detto una infinità di volte….
Per questo sei e rimarrai comunque la mia Stella.

E ho scritto queste cose soprattutto perché se ne possa parlare, anche litigare se tu ne avessi voglia, soprattutto capire oltre quello che abbiamo già detto e che spero sempre nasconda qualcosa di più interessante. Giorni migliori, insomma.

Ti abbraccio forte

Firenze, 16 febbraio 2007

Quegli squilibri del pensiero che fanno stare bene..

Rita!:

boh…. ho scritto qualcosa su meetic poi sono tornato qui. Sto vagando da un angolo all’altro e da un numero telefonico a quello successivo. In modalità random, per giunta.

Finire in un bordello dei primi novecento credo sarebbe stata sicuramente un’esperienza più decorosa, meno deplorevole e più edificante.

Adesso mi pongo davvero domande del cazzo… temo seriamente che la realtà, mentre gli anni sono trascorsi (non tanti, a dire il vero…), sia diventata una trappola inesorabile per pensieri, sentimenti, aspirazioni e desideri. Magari non dei miei… ma che cambia se tutto attorno si muove in questa direzione? Dove sta la via d’uscita se ho la possibilità di relazionarmi solo con persone che ormai hanno, più o meno consapevolmente, accettato questo modello per vivere il tempo e popolare i luoghi? Questo non è sopravvivere, è qualcosa di più oscuro, più sfuggente…

Tutto era iniziato con la mia balorda idea di trovare un annuncio più accattivante… Qualcosa che potesse stuzzicare la curuiosità di ragazze più giovani… (under 32 🙂 !!!)
E l’obiettivo, mi preme precisarlo adesso, non era quello di procacciarmi l’illusione di potermi trovare tra le mani il corpo di una ventenne…. piuttosto e più seriamente quello di uscire dal giro di pensieri che pensavo legati all’età… quelli del colpo e via, per intenderci.

Macché… il nuovo annuncio, per certi versi meno banale e concettualmente più denso, ha continuato ad attirare le solite over 40 in cerca di occasioni talmente importanti da poter soddisfare la loro “naturale” aspirazione ad una “sana” vita sessuale… Affetto e progettualità di coppia son cose ormai lontane. Forse risolte, forse sepolte…. Mi pare addirittura che il ruolo di queste parole si sia poi arricchito di arcani significati tanto che se ne parli… finisci con l’essere visto come un ET.

Ma poi la ragazza giovane, spigliata, decisa.. ecc. era arrivata… D’un tratto… una sera… “Tu hai scritto quelle cose?..”…
Alla mia semplice risposta affermativa… Lei: “Io sono quello che tu cerchi… io sono in quel modo… questo è il mio msn.. andiamo là..”

Poi un graduale crescendo di interesse, di coinvolgimento emotivo (più suo che mio, ma anche mio almeno inizialmente..), di notte insonni in cui le 6 ore di fuso orario non facendo collimare le nostre notti… han finito nel giro di una settimana semplicemnete per dilatare le giornate al looro massimo di 24 ore… Dormire, non era importante.

Il resto a grandi linee lo sai… ha seguito la solita geometria della parabola già predestinata a riportarmi al punto esatto da cui ero partito.

Tornando a quanto hai scritto…  ok!!! Sei il top delle persone conosciute in questo periodo… (so che è riduttivo, ma bisogna pur che ti accontenti in tempi di economia come questi!…)
A me va bene così… Se ben ricordi ti dissi io che avrei voluto avere la possibilità di incontrare qualcuno senza particolari attese ecc. ecc.

Mi sorprendo ogni volta che scrivi per la profondità e l’originalità delle cose che dici. Vorrei ricambiarti, ma ti prego di credermi se dico che in questo ultimi due mesi faccio una gran fatica a mettere insieme pensieri… Chissà… dovrei chiederne forse la ragione a qualche esperto… ma la risposta statisticamente assicurata so già che sarebbe qualcosa di apparentemente rassicurante del tipo “è normale che senti questo… con quello che stai vivendo…”

Macché, macché….. qui finisce che tutto ciò che non dovrebbe essere e che avrei sempre voluto tenere lontano diventa “normalità” quotidiana….

Forse ho problemi da risolvere… forse…. O forse ciò che io cercavo con fatica anni fa davvero ha oggi perso valore nella scala delle priorità del vivere contemporaneo.

Le idee non sono certo chiare… forse sarà anche che mangio una volta al giorno per non voler ammettere di essermi messo a dieta… (mi sembra stupido con tutto quel che c’è da fare…)
Scrivo in modio confuso, lo sento. Ma so che tu sei molto brava a leggere e ad intuire questi pensieri… per cui son sicuro che capirai.

Scusami se ho parlato solo di me… ma oggi proprio non riesco a distogliermi da quanto visto.

Poi son curioso… e spero che ti racconti da sola! Quel Musieri che aveva chiamato appena rientrata in italia… poi corre da Pisa…
Ma non avevi detto che era troppo giovane…???

Si insomma… magari la tua storia è meno tragica…. Me la racconti? 🙂

E poi dimmi quando ci si becca dal vero…

Ciao

Gianni

Il conflitto sociale contro la famiglia nucleare che serve solo a certi potentati

Chissà se gli assertori della DEMONIZZAZIONE DELLA “FAMIGLIA NUCLEARE” si renderanno mai conto che l’attacco alla famiglia patriarcale a mezzo di un CONFLITTO SOCIALE senza precedenti ha trovato l’APPOGGIO DI ALCUNI POTERI DELLO STATO perché QUEL CONFLITTO (Che Buy Xenical Online uccide e distrugge uomini, donne e bambini) SERVE agli interessi di POTENTATI che su quel conflitto stesso costruiscono il loro impero economico.

Chissà…. ma quando ciò sara’ evidente noi potremo almeno dire: “non siamo stati compici”.

Un bambino chiese alla mamma: (continua sotto)

Perchè piangi ? »
« Perchè sono una donna » gli risponde.
« Non capisco » dice il bambino.
La mamma lo stringe a sè e gli dice : « E non potrai mai capire… »

Più tardi il bambino chiede al papà :
« Perchè la mamma piange ? »
« Tutte le donne get prescription drugs without prescription piangono senza ragione », fu tutto quello che il papà seppe dirgli.

Divenuto adulto, chiese a Dio :
« Signore, perchè le donne piangono così facilmente? »
E Dio rispose :
« Quando l’ho creata, la donna doveva essere speciale ».
«Le ho dato delle spalle abbastanza forti per portare i pesi del mondo… E abbastanza morbide per renderle confortevoli ».
« Le ho dato la forza di donare la vita, quella di accettare il rifiuto che spesso le viene dai suoi figli. »
« Le ho dato la forza per permettele di continuare quando tutti gli altri abbandonano. Quella di farsi carico della sua famiglia senza pensare alla malattia e alla fatica. »
« Le ho dato la sensibilità di amare i suoi figli di un amore incondizionato, Anche quando essi la feriscono duramente. »
« Le ho dato la forza di sopportare il marito nelle sue debolezze E di stare al suo fianco senza cedere»
« E finalmente, le ho dato lacrime da versare quando ne sente il bisogno.»
« Vedi figlio mio, la bellezza di una donna non è nei vestiti che porta, nè nel suo viso, o nella sua capigliatura.

La bellezza di una donna risiede nei suoi occhi. E’ la porta d’entrata del suo cuore ; la porta dove risiede l’amore. Ed è spesso con le lacrime che vedi passare il suo cuore. »

La storia su RAI 3 – Cominciamo Bene Estate – Rai 3 – 09 luglio 2007

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Il video con parte della puntata di Cominciamo Bene Estate del 9 luglio 2007 con ospiti la dott.ssa Cavallo, Petrolati, Gianni Furlanetto, Vincenzo Spavone. Con la dichiarazione della dott.ssa Melita Cavallo (Ministero della Giustizia già T.d.M. di Napoli): “E’ un problema culturale, noi Tribunale dei Minorenni abbiamo la cultura del pregiudizio ” genitore colpevole niente bambino” – La Onlus di cui si parla è l’associazione Artemisia di Firenze – Da non perdere…


http://www.giannifurlanetto.it/index.asp

A TUTTI I PAPA’ CHE VIVONO LONTANI DAI PROPRI FIGLI

Questo insieme di pensieri che alcuni amici chiamano sito, altri blog, nacque in un momento particolarmente doloroso e difficile della mia vita.

La mattina del 4 settembre 2006, infatti, mio figlio e mia moglie si volatilizzarono nel nulla. Improvvisamente, inspiegabilmente, lasciando aperte mille ipotesi: le più tragiche, come quelle di un incidente, qualcosa di terribile insomma. Fortunatamente la ricerca negli ospedali di Firenze non ebbe alcun riscontro ma col giungere della notte ormai si parlava di persone scomparsa e la vicenda si faceva sempre più carica di mistero e sgomento.

Servirono ben 8 giorni perché il “caso” volesse che ritrovassi nel centro di Firenze, davanti l’ingresso della Questura fiorentina, mio figlio e mia moglie. Da lì, ebbe poi inizio l’assurda, incredibile vicenda narrata e “gridata” all’interno delle pagine di questo spazio web connotato dal nome e cognome di chi scrive…. (ehmmm…. mi chiamo gianni furlanetto)

Poi, pian piano, il passare dei giorni, dei mesi, degli anni, mutò l’iniziale disperazione in rabbia e tenacia profonde, le stesse che sempre ritengo importante poter provare di fronte ad una vera ingiustizia. Infatti….

Mio figlio rapito da mia moglie… mia moglie rapita da qualcosa di più grande di lei.

Qualcosa che a distanza di mesi e anni non riesco ancora ad individuare con precisione; sicuramente qualcosa o qualcuno di cui ella si è fidata ciecamente, spinta, con tutta probabilità, da un disagio psichico a cui da sola non riusciva a dare risposta. Rapita, questo in più certa ipotesi, da faccendieri e professionisti assetati di denaro, strappata via da ideologie aberranti delle quali storie come questa raccontano l’abominevole potere lacerante la vita di innocenti fanciulli.

Sono in tanti a guadagnare dalle tragedie che triturano il cuore dei bambini. A seguito di quella scomparsa…. un numero di denunce destinato inevitabilmente a crescere.

La progressiva presa di coscienza che qualcosa di orribile aveva inghiottito e sta tuttora inghiottendo sentimenti, buon senso… ragionevolezza….

Non sono l’unico padre e nemmeno l’unico genitore a vivere situazioni come questa. Ci sono tanti uomini che, a causa di una logica folle, che coinvolge un intero sistema che dovrebbe tutelare gli affetti e invece li distrugge, hanno perso ogni contatto con i propri figli. Casi nei quali si mostra tutta la paradossalità della nostra cultura, una cultura che vive nella logica di identificare nelle separazioni e nel conflitto la soluzione ai conflitti e alle separazioni.

La maggior parte di quanto sta scritto in queste pagine chiama le Autorità, l’Autorità Giudiziaria in particolare, ma anche e soprattutto la coscienza popolare ad indignarsi e ad indagare sull’operato di associazioni – le più disparate – che sono veri e propri centri di potere in cui la parola denaro sostituisce in modo totalizzante qualsiasi principio di etica condivisibile.

Ciò che, nonostante la stanchezza, mi convince ad insistere in questa battaglia contro “il drago del male” è l’amore che nutro per mio figlio e che è grande in maniera inimmaginabile… così come grande è quello di tanti altri genitori costretti a vivere analoghe vicende.. E’ il ricordo delle parole di Kennedy: “prima di chiedere cosa può fare il Paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”… E’ il senso che sta in poche parole: “chi ha vissuto solo per sé, ha sprecato una vita…”

A tutti i papà che dovessero trovarsi a vivere vicende analoghe alla mia, un solo accorato appello: non arrendetevi, non lasciate che qualcuno impedisca a voi di compiere il vostro diritto-dovere di essere padre. Non fatelo per nessuna ragione!

In Italia ci sono importanti associazioni nate proprio per dare aiuto e supporto a casi come questi, come il mio, come il vostro. Ci sono insomma persone preparate e pronte ad ascoltarvi e a dare una mano, ad indicare concretamente una strada perché la bieca cultura di morte da cui nascono certe ideologie e le loro drammatiche manifestazioni sociali non abbiano a prevalere su quell’archetipo “principio” che vuole un figlio poter crescere insieme ai genitori dai quali ha tratto la propria esistenza. (Elenco Associazioni)

Firenze, 04 maggio 2007 – Gianni Furlanetto

Installare suPHP su Centos 6

Dobbiamo aver già installato Apache, MySQL e PHP.
Abbiamo anche bisogno di php-cli modulo installato in modo dettagliato.

I’m assuming you’ve already successfully installed Apache, MySQL and PHP. You will also need the php-cli module installed as detailed.

  1. Add the RepoForge repo if you don’t already have it.
    1. 32-bit:
    2. rpm -ivH http://pkgs.repoforge.org/rpmforge-release/rpmforge-release-0.5.2-2.el6.rf.i686.rpm
    3. 64-bit:
    4. rpm -ivH http://pkgs.repoforge.org/rpmforge-release/rpmforge-release-0.5.2-2.el6.rf.x86_64.rpm
  1. Install the packages
    1. yum install -y php-cli mod_suphp
  1. Edit /etc/suphp.conf and adjust lines 25 and 28 respectively
    1. x-httpd-php=”php:/usr/bin/php-cgi”
    2. x-suphp-cgi=”execute:!self”

     

  2. Set PHP session directory group ownership permission
    1. groupadd phpsession
    2. chgrp phpsession /var/lib/php/session

     

  3. For each VirtualHost you wish to operate under suPHP, you will need to add the following to their Apache config file in /etc/httpd/conf.d, replacing username and group respectively
    1. suPHP_Engine on
    2. suPHP_UserGroup username group
    3. AddHandler x-httpd-php .php .php3 .php4 .php5
    4. suPHP_AddHandler x-httpd-php

     

  4. For each user operating under suPHP, you will need to add them to the phpsession group you just created otherwise they will get errors about session creation. Replace username respectively
    1. usermod -a -G phpsession username

     

  5. If you get a 500 Internal Server Error message, your PHP scripts and/or directories probably have incorrect permissions. You can reset all directories to rwxr-x-r-x (ie. 0755) and all files to rwxr–r– (ie. 0644) by running the following at your HTML root
    1. find . * -type d -exec chmod 0755 {} +
    2. find . * -type f -exec chmod 0644 {} +

Padri separati & femminismo: un conto aperto da chiudere in fretta

Sono ormai trascorsi 8 lustri dalla legge n. 898/1970 sul divorzio del 1 dicembre 1970. Una legge giustamente voluta e richiesta dai movimenti femminili per dare risposta ad una indissolubilità del matrimonio che trovava nella realtà sociale del tempo l’ingiustizia di convivenze impossibili. Pur al grido di io sono mia e mi gestisco io il divorzio fu invocato quindi come estrema ratio per quelle situazioni caratterizzate dalla irreparabilità di un rapporto ormai non più recuperabile.

Oggi che quaranta anni sono trascorsi possiamo concederci alcune considerazioni soprattutto tenendo conto che col trascorrere del tempo la legge iniziale ha gradualmente trovato supporto e attuazione concreta con l’applicazione concomitante di nuove e diverse norme giuridiche inserite nel codice civile e, sempre più frequentemente, anche nel codice penale.

Quando negli anni in cui il movimento delle donne italiano fremeva per l’attuazione di leggi che sostenessero le rivendicazioni femminili non esisteva alcuna forma di aggregazione maschile in grado di “contrattare” quelle rivendicazioni e credo sia abbastanza pacifico ritenere che le istanze femministe furono accolte in assenza di alcun reale contraddittorio uomini/donne. In conseguenza di ciò, l’attuazione di norme e prassi separative potè avvenire senza la necessita’ di particolari mediazioni.

Del resto il mondo maschile fu colto come di sorpresa da quella enorme bolla che fu il femminismo e che, insieme alla liberazione sessuale, portava in sé e fin dall’inizio un carico enorme di accuse al mondo maschile responsabile, almeno agli occhi di chi quel movimento sosteneva, di secoli e secoli vissuti all’insegna di ingiusti atteggiamenti sociali non equalitari e soprattutto oppressivi nei confronti del genere femminile.

Ancora oggi alcune esponenti del movimento di quegli anni sostengono che qualsiasi mediazione non sarebbe però stata in alcun modo possibile annoverando le conquiste dei diritti delle donne in una sorta di bottino di guerra frutto di una rivoluzione degli schiavi insorti contro il padrone (come tale da non coinvolgere e, in quest’ottica, plausibilmente da escludere e forse “punire”).

Non sappiamo né potremo mai sapere come gli uomini, i singoli capofamiglia del tempo, abbiano vissuto l’ingresso del divorzio nella normativa e la successiva capillare penetrazione di un costume totalmente e poliedricamente nuovo. Possiamo solamente constatare come l’atteggiamento maschile sia stato indubbiamente caratterizzato da una marcata passività.

Il divorzio quindi anche da leggere come il sintomo di un cambiamento sociale che non poteva attendere. Il divorzio anche e soprattutto come uno strumento non dichiarato per sostenere le istanze femministe è una considerazione che possiamo fare noi a posteriori consapevoli che nel corso della storia sul palco c’era solo e solamente il mondo femminile. Ma quali erano le domande del mondo femminile alla societa’ civile? Tra queste c’era sicuramente il discorso dei pari diritti e delle pari opportunita’, c’era il desiderio di destrutturare ruoli millenari e c’erano anche mille altre richieste. Le più varie. Le più articolate. Tutte in evoluzione man mano che gli anni sono poi trascorsi.

Anche la provenienza di queste istanze era poi diversa proprio perché col tempo la compattezza del femminismo venne meno ed esso si divise in più correnti ognuna caratterizzata da una diversa tolleranza alla scia resistente dei ruoli uomo/donna che permaneva e permane tuttora. Dal femminismo naquero quindi i femminismi ossia movimenti diversi con istanze e progettualita’ diversa originatisi dal movimento femminile anni 60/70.

A grandi linee il percorso che porto’ dal femminismo ai femminismi fu questo mentre, per quanto riguarda il versante del “divorziare”, possiamo constatare che inizialmente esso fu davvero una scelta alternativa e che pochissime persone decisero di lasciarsi legalmente: alcune perché costrette dai doveri morali, altre perché non vedevano un’alternativa alla famiglia d’origine.

Oggi non è più così e se da un lato il divorzio è sinonimo di libertà individuale, dall’altro anche spaventa perché è divenuto chiaro a chiunque (man mano che ha preso forza la consapevolezza individuale dei cambiamente storici) che oggi i rapporti interpersonali sono destinati a finire. I dati Istat del resto lo confermano: in quindici anni i divorzi sono triplicati. Nel 1995 se ne contavano 80 ogni mille matrimoni, nel 2005 si era saliti a 150, per toccare quota 273 ogni mille matrimoni nel 2007. Per renderla più chiara ogni anno si sfasciano circa 200 mila famiglie.

E’ dagli anni novanta, e cioé a distanza di 20 anni dall’introduzione della legge sul divorzio, che assistiamo invece alle prime “reazioni” maschili.

Nel 1988 nasce l’ISP (Istituto Studi Paternità) fondato dal giornalista Maurizio Quilici. Si tratta di una organizzazione con “obiettivi scientifici e culturali” in ordine alla promozione della “cultura della paternità e di tutti gli aspetti psicologici, pedagogici, sociali, biologici, storici e giuridici collegati”. Successivamente, e anche in collegamento conl’ISP, a partire dal 1991, iniziano a fare la loro comparsa i primi movimenti di genitori separati. Il primo movimento recante la denominazione di “Associazione Padri Separati” (APS) nacque a Rimini nell’autunno del 1991 grazie all’industriale Alberto Sartini, mentre due anni più tardi, Marino Maglietta, fisico dell’Università di Firenze, fondò l’associazione nazionale Crescere Insieme. A Napoli nel 1992, sotto la guida del prof. Bruno Schettini, vede la luce l’associazione “Genitori Separati” (Ge.Se.).Gli anni seguenti videro poi la nascita di parecchie associazioni di padri. Nella primavera del 1994 fu fondata “Papà Separati Milano” – Associazione per la tutela dei diritti dei figli nella separazione” – sotto la guida dell’ing. Ernesto Emanuele. A Roma fu fondata Gesef (Genitori Separati dai Figli) il cui primo presidente fu Elio Torelli. Dal movimento di Ernesto Emanuele, il 30 aprile 1998, nacque a Napoli l’associazione “Papà Separati” (APS) fondata dal dr. Alessandro Ciardiello, che da subito si caratterizzò per una costante diffusione in tutto il territorio, divenendo ben presto Associazione Nazionale (ANPS). Nell’anno 1999 nacque l’Associazione Mamme Separate, ad iniziativa del Presidente Rosy Genduso.

Il vasto panorama delle associazioni di genitori separati, tuttavia, indica che anche qui la separazione rimane la chiave paradossale con cui, cercando di affrontare un problema, lo si esaspera: gli stessi padri separati spesso si dimostrano incapaci di coalizioni efficaci e riescono solo a separarsi fra loro perché ognuno vuole comandare e se non ci riesce si separa. Ben pochi sono disposti ad ammettere questa dinamica della quale però tutti i militanti hanno comunque consapevolezza tanto che all’inizio del marzo 2008 emerge vincente la proposta per la costituzione di una nuova forma associativa, onde compensare l’eccessivo frazionamento delle associazioni di genitori separati.

Pochi anni fa si pensò infatti di dar vita ad un nuovo soggetto: una associazione di associazioni che avrebbe fatto da collettore per i rapporti con media e istituzioni. Inoltre il nuovo soggetto avrebbe potuto elaborare nuove proposte di modifica normativa da sottoporre al Parlamento, oppure dare forza a quelle già presentate da altre associazioni. La nascita di Adiantum si concretizza il 12 giugno 2008, durante il Simposio di Nisida, quando otto associazioni firmano un protocollo di intesa per la nascita dell’Associazione Di Associazioni Nazionali per la Tutela del Minore (Adiantum).

Siamo dunque giunti a parlare di quello che sta avvenendo adesso. Infatti a seguito di una progressiva presa di coscienza da parte dei movimenti satellitari (idealmente satellitari al movimento iniziale che fu promotore del divorzio), esistono e sono sempre più presenti le associazioni dei genitori che vivono sulla propria pelle e su quella dei loro figli gli aspetti più negativi di una normativa lacunosa e faziosa che aveva imposto regole spesso disumane al divorzio. Si tratta di associazioni nazionali e locali che con sempre maggiore convinzione e determinazione pongono al centro del problema “separazione coniugale” i figli. Già, proprio loro! I figli che nelle separazioni erano stati gli attori-spettatori dimenticati dal femminismo (autore e propulsore della prima normativa) e che, nell’ansia del conseguimento dei diritti femminili, pare avesse grossomodo allontanato dalla realta’, spesso relegandoli in sacche di immane sofferenza.

Oggi che i padri (ma anche molte madri!) rivendicano un diritto di famigllia più attento ai figli, queste loro associazioni sembrano vivere la stessa “fortunata” stagione che visse il femminismo quando, denunciando la mancanza di diritti femminili, ebbe dalla societa’ civile praticamente carta bianca. Le associazioni dei genitori separati riportano sulla scena – quale protagonista principale – I FIGLI e trovano (non sembra vero!) dall’altra parte della barricata un movimento delle donne ripiegato su se stesso e che difficilmente potrra’ essere legittimato ad avanzare istanze per i minori considerato il fatto che in quaranta anni di vita dei figli il femminismo non ha mai parlato se non in funzione delle reiterate iniziali istanze sempre a favore degli adulti di sesso femminile.

Ecco perché il conto è ancora aperto e deve essere chiuso in fretta. Ed ecco anche perché l’orizzonte si profila abbastanza azzurro considerato che il riequilibrio dovra’ necessariamente passare per questa strada consentendo tra l’altro le mediazioni che negli anni settanta non furono possibili e che adesso vanno a braccetto con l’interesse superiore dei minori.

Il cammino sembra quindi destinato a nuovi equilibri che dovremmo poter apprezzare molto presto e che riportando in primo piano l’interesse dei figli consentiranno anche un  recupero di genitorialita’ e diritti maschili.

Il superiore interesse del minore non può del resto altro che spingere in questa direzione.

E’ stata lunga – potremmo dirci – ed è stata anche dura la strada percorsa.

Sono in molti coloro che adesso vorrebbero poter guardare indietro e chiedersi se ne sia valsa o meno la pena: tanta sofferenza, tanta ingiustizia, tanto sangue anche, alla fine per chiedere e ottenere giusti diritti per il genere femminile effettivamente ha in sé qualcosa di paradossale.  Questo tipo di domande, pur essendo umanamente più che comprensibili, non credo posano avere risposte certe. Forse non potranno proprio avere risposte. Del resto la storia, ci risponderebbero i più machiavellici, ha le sue imperscrutabili ragioni….

Molto probabilmente altro non resta che rallegrarci per una meta che ormai sembra ragionevolmente vicina. Non rimane altro che collaborare e restare uniti per poter varare un nuovo diritto di famiglia rispettoso ed equilibrato verso le necessità di tutti i soggetti coinvolti sia nella formazione che nella separazione di un nucleo familiare.

Solo allora si potranno quindi chiudere i conti di una rivoluzione sociale apertasi ufficialmente con la legge sul divorzio del 1970.

“Il Padre è una figura fondamentale, presente, come lo è quella della Madre, archetipicamente nella psiche di tutti, una figura che ci guida nel mondo mediante regole senza le quali siamo perse, che ci dà la capacità di elaborare il dolore, che ci dà stima e forza in noi stessi, e ci regala la voglia, e la possibilità, di guardare in alto, e oltre, alla ricerca di nuovi domini e nuove dimensioni da affrontare”, citando “Nel segno del padre” di G. Giordano.

Quaranta anni. Una generazione o poco più per perdere e ritrovare il padre, i figli ed i loro ruoli fondamentali nella crescita della nostra così come di qualsiasi civilta’. Quaranta anni per rivalutare le loro ragioni e la loro ricchezza. Quaranta anni per reinserire padre e figli nel tessuto vivo della nostra stanca e (ma solo a volte e per periodi di tempo limitati) distratta societa’.

Separazioni: tra false accuse, mostri presunti, business e danni sui bambini.

Può capitare a chiunque di svegliarsi e scoprire di essere diventato un mostro. Succede che un giorno, all’improvviso, tutto quello che avevi fino alla sera prima –la famiglia, gli amici, il lavoro– si trasforma in un grande buco nero che ti ingoia e ti cancella. Non esisti più. L’accusa di aver molestato un minore è più di una condanna penale. E una sentenza di morte. Il criminologo Luca Steffenoni ha scritto un libro (“Presunto colpevole”, edito da Chiarelettere) che tutti – insegnanti, giudici, psicologi e genitori – dovrebbero leggere per cambiare prospettiva e vedere cosa c’ è dietro l’allarme pedofilia.

Un libro che squarcia il silenzio e parla dell’interesse economico mascherato dall’ amore per i più piccoli di molte associazioni. Enti. Istituti ed esperti. Ci sono bambini strappati alle famiglie che diventano adulti negli orfanotrofi, un sistema giudiziario che non funziona, insegnanti che finiscono in carcere vittime di psicosi collettive, uomini sbattuti in cella solo sulla base di perizie psicologiche.

E perfino di sogni. Com’è successo a don Giorgio Carli, condannato a sette anni e sette mesi dalla Corte d’appello di Bolzano dopo un processo basato sull’ attività onirica della donna che lo aveva denunciato. Incriminato perché uno psicoterapeuta aveva interpretato i sogni della vittima. Ci sono tante storie cominciate con un’accusa di molestie sessuale, continuate con una condanna e terminate con un’assoluzione troppo spesso tardiva. Vite annientate.

Basta poco per far scattare una denuncia. Salvatore Lucanto ha passato due anni e mezzo in carcere per aver violentato la figlia e la cugina. Poi è stato assolto. L’accusa, che si basava sui disegni fatti dalla figlia davanti alla psicologa, cadde quando divennero chiari i metodi utilizzati per ottenere le prove: «La signora mi ha detto che devo disegnare un fantasma e chiamarlo pisello», aveva dichiarato la bambina all’uscita dell’audizione protetta. Un altro imputato è riuscito a salvarsi da un’accusa rivelatasi falsa solo perché aveva avuto l’idea originale di farsi tatuare il pene con un’immagine che la presunta abusata non ha saputo descrivere.

La situazione peggiora quando, nel ’96, cambia la legge sulla violenza sessuale e viene introdotta una norma che disciplina gli atti (come le molestie e tutte quelle azioni in cui non c’è contatto genitale) che rischiavano di restare esclusi dal reato di violenza. ‘Ma è atto sessuale lasciare in mutande i bimbi che si sono bagnati durante una festa? Fare il bidet ai figli? Osservare le parti intime se necessitano di cure? Fare la doccia con il proprio bimbo? «Eppure», scrive Steffenoni, «tutti questi fatti sono entrati nei processi come sintomo di abuso e ritenuti spesso sufficienti a giustificare condanne o l’allontanamento dei piccoli dai propri genitori». Nei processi si parte dal presupposto che i bambini raccontano sempre la verità, ma spesso le loro testimonianze sono confuse e condizionate dalle domande degli psicologi che stanno sempre più assumendo il ruolo di poliziotti. Il criminologo parte da un dato: ogni anno arrivano 5 mila denunce da parte di scuole, centri d’ascolto, servizi sociali e Asl. I casi concreti sono 845. Significa che una buona fetta delle segnalazioni si rivelano se non false, almeno fantasiose. Sovente frutto di psicosi o di vendette contro l’ex coniuge. Chi viene accusato ha poche possibilità di difesa e il processo ha quasi sempre un esito scontato. È l’accusato che deve dimostrare la propria innocenza, non l’accusa che deve portare elementi certi. Meglio essere arrestati per omicidio: l’indulto si applica a chi uccide un bimbo ma non a chi è accusato di averlo palpeggiato.

Sullo sfondo di “Presunto colpevole”, tutte le storie di bimbi sottratti, di papà ingiustamente condannati, c’è l’inquietante cornice entro cui si muovono i procedimenti giudiziari per abusi sessuali: il cosiddetto “sistema antiabusi”, un mondo autoreferenziale, fatto di consulenti, psicologi, esperti. Spesso improvvisati, centri di assistenza ai quali compete la prima e anche l’ultima parola nei procedimenti giudiziari. Ci sono tra i 26mila e i 28mila bambini che vivono negli istituti fino alla maggiore età. Strappati alle famiglie per mille cause: perfino l’indigenza di genitori affettuosi e premurosi diventa un buon motivo per portare via i piccoli. Stato, Regioni, Province e Comuni danno finanziamenti per circa 200 euro al giorno per ogni bimbo. Per un totale di 1898 milioni di euro all’anno. Ogni bimbo in istituto costa 75mila euro all’anno. Siamo sicuri che questi istituti facciano solo sempre l’interesse dei piccolini?

da Libero – Lucia Esposito

 

Fino agli anni novanta, racconta Steffenoni, la pedofilia veniva combattuta con i vecchi, cari metodi tradizionali: intercettazioni telefoniche e ambientali, sequestro di pubblicazioni oscene, pedinamenti di sospetti. Metodi lenti, costosi, ma molto efficaci. Inchiodati da prove irrefutabili – come l’imprenditore triestino Moncini, beccato dal FBI all’aeroporto di Manhattan dopo un intenso scambio di telefonate con un agente infiltrato – i pedofili finivano dritti in galera dopo un semplice, regolare processo. Erano soggetti pericolosi, ma nessuno li considerava come accade oggi diabolicamente astuti, imprendibili e dotati di coperture che li ponevano al di là della legge e di ogni prevenzione.
Poi, la svolta. Aiutata anche da un crollo della natalità, che rende i bambini rari, e quindi talmente preziosi da essere soffocati di attenzioni dai genitori. Nel 1996 il codice penale vede giustamente aumentare i suoi articoli, perché dopo decenni, si riesce a far passare il concetto che la violenza carnale non è un banale delitto contro la morale, ma un reato contro la persona, e che compiere atti sessuali con minori di quattordici anni è sempre un reato. Peccato che poi la legge, nella sua stringata ambiguità, non precisi cosa si intenda con “atti sessuali”. L’ambiguità ha lasciato che nella prassi giuridica entrasse in gioco il concetto di “abuso”, semanticamente ancora più vasto e di definizione ancora più equivoca e incerta. Quando poi dagli abusi l’attenzione si è spostata ai loro sintomi, ancora più fumosi, la frittata era fatta. La lotta alla pedofilia era diventata campo d’azione degli psicologi, i soli abilitati nel delicato compito di scrutare nella psiche delle piccole vittime, alla ricerca del “rimosso”. Neanche a farlo apposta, quello scorcio di anni ’90 è anche il periodo in cui la corporazione degli psicologi riesce ad allargare legalmente le proprie fila, riconoscendo come professionisti della psiche anche individui privi di requisiti professionali adeguati. E questo trascurando che la psicologia non è una scienza esatta, né vuole esserlo.
È comunque in questa classe di candidati alla disoccupazione intellettuale che si andrà ad attingere per formare esperti nell’arte di decifrare le labili tracce lasciate dagli abusi. Compito delicato, tale da richiedere un esperto competente, in modo che il minore non patisca ulteriori sofferenze. Peccato che spesso si traduca nel forzare i bambini a dichiarare ciò che ci si aspetta da loro, spesso in cambio della promessa di rivedere il genitore da cui sono stati divisi.
Intanto in campo appariva una nuova figura di pedofilo: scaltro, diabolico, sinuoso, capace di nascondersi nella società senza lasciare tracce delle sue losche azioni, neanche fosse Fantomas. Così, mentre l’isteria cresceva, la sommatoria di ambiguità e sciatteria generava procedure che avrebbero impressionato Kafka. «Tanto la fase inquirente quanto quella del giudizio – scrive Steffanoni – si sono trasformate nel regno dell’aleatorio se non del surreale, dove tutto e il suo contrario può essere affermato.» Caduto il discrimine secondo cui solo ciò che è falsificabile ha valore scientifico, ogni cosa e il suo contrario può costituire un capo d’accusa. «Il bambino accusa l’adulto? Dunque è stato abusato. Non lo accusa? Ha paura, vuole difenderlo, vuole rimuovere l’abuso. Non ricorda gli eventi e si contraddice? Normale, dimenticanze da shock per il trauma subito. Ricorda meticolosamente ogni particolare, tanto da sospettare che sia stato “preparato” un po’ troppo? I fatti d’abuso si fissano nel profondo della psiche e riemergono con precisione se sollecitati.» Se il caso più recente è quello dell’asilo di Rignano Flaminio, quello più eclatante ha avuto inizio qualche anno fa a Bolzano. Protagonista, il sacerdote quarantenne don Giorgio Carli, amatissimo dalla sua comunità, portato in tribunale da una ex parrocchiana ventottenne. L’accusa fa riferimento ad episodi che avrebbero avuto inizio quando la ragazza aveva nove anni, e si sarebbero protratti fino ai quindici. Tra altre pratiche innominabili, il sacerdote avrebbe costretto un altro ragazzino ad avere rapporti con lei, mentre filmava le scene indossando un paio di guanti neri. Il ragazzino, ormai diventato adulto, ha negato, ma inutilmente. In appello il sacerdote è stato condannato a oltre sette anni di carcere.
Questa volta l’ipnosi – o più precisamente, la “distensione immaginativa”, come la chiamano i cosiddetti esperti –, non ha riportato alla luce episodi rimossi. Ad essere resuscitato dagli abissi della coscienza è stato un suo sogno. Nel sogno la ragazza si vedeva violentata da marocchini in un bar sulla cui insegna c’era scritto “San Giorgio”. Lo stesso nome del parroco che ha deciso di denunciare. «Quel sogno – ha scritto Ferdinando Camon, che si è interessato al caso con la sua consueta attenzione – è sembrato determinante. Ma se fosse determinante, sarebbe il primo caso in cui un colpevole risulterebbe incastrato da un sogno, o peggio, da una fantasia. È qui la rivoluzione: nell’attribuire al mondo dei sogni la funzione di garanzia sul mondo reale, tanto forte da reggere una condanna pesante.»
Intanto le vittime di procedimenti imbastiti sul niente si moltiplicano, e quel che è peggio, sempre più famiglie vengono spezzate. Non di rado si arriva all’assurdo giuridico che il padre prosciolto da ogni accusa si veda negata la restituzione dei figli. Che di queste tragedie inutili sono quelli che pagano, con laceranti separazioni, il prezzo più alto.

Da Il secolo d’Italia – di Massimiliano Griner

 

«Questo libro nasce da un’esigenza morale» dice il criminologo Luca Steffenoni, autore di Presunto Colpevole. La fobia del sesso e i troppi casi di malagiustizia (appena uscito per Chiarelettere, pp.272, euro14). «In tanti anni di lavoro per i tribunali ho visto troppe accuse ingiuste di pedofilia, con soluzioni tardive e danni psicologici ed economici enormi: un abisso di errori e orrori giudiziari che mi hanno obbligato a far sentire la mia voce».
Il libro prova a raccontare quello che non vediamo. Una macchina burocratica che vale milioni di euro («ogni bambino sottratto alla famiglia paga lo stipendio a dieci tra psicologi e tecnici» dice Steffenoni). Un affare per associazioni, centri d’assistenza, consulenti, psicologi. E tante storie di affetti distrutti, di violenza psicologica (genitori divisi, bambini affidati, interrogatori infiniti).
«La macchina della giustizia è sfuggita di mano a tutti-dice Steffenoni- I magistrati che si occupano di minori sono pochi, un mondo chiuso sorretto da un associazionismo a cui deve riscontro. Dall’altra parte c’è un clima emotivo e fanatico contro i pedofili. Ma il paradosso è che il vero pedofilo spesso sfugge alla giustizia o patteggia pene irrisorie». Se davvero l’interesse ultimo di tutti gli attori in causa è difendere i bambini, i fatti raccontati da Steffenoni documentano il contrario. «Bisogna bloccare la macchina. Basta errori, questo problema ci riguarda tutti».
da La Stampa – di Raggaella Silipo
L’ultimo caso clamoroso è stato quello dell’imprenditore di Guidonia arrestato in Brasile con l’accusa di essere un pedofilo per aver baciato sulla bocca la figlioletta. Dopo giorni di carcere, con il rischio di essere condannato fino a 15 anni, è fortunatamente ritornato in libertà. Luca Steffenoni, criminologo, ha indagato il fenomeno della pedofilia e ha scoperto che anche in Italia sono moltissimi i casi di malagiustizia.
Un tema talmente delicato quello affrontato che l’editore ha ritenuto opportuno inserire una nota editoriale per spiegare che non si tratta di un libro sulla pedofilia ma sulla violenza sui bambini, anche su quella che spesso ruota attorno al cosidetto sistema antiabusi, per capire cosa c’è dentro e dietro l’allarme pedofilia e le vicende processuali.
L’autore ha preso in esame molti casi giudiziari e ha riscontrato che molto spesso i pubblici ministeri adottano una sorta di teorema: il bambino non mente mai. A questo proposito ha esaminato alcune inchieste del pm milanese Pietro Forno che ha sostenuto l’esistenza di due tipi di rivelazione: quella diretta e quella mascherata. La prima è quella del bambino ormai adolescente che racconta i fatti, la seconda è quella che si manifesta con un disagio psicologico. Secondo Steffenoni per un genitore accusato sarebbe meglio avere a che fare con la prima tipologia perché si tratterebbe di verificare l’attendibilità dell’accusa. In realtà, però, analizzando molti casi anche questa tipologia è rischiosa perché spesso il minore prima accusa, poi ritratta, quindi racconta a metà e infine conferma la prima versione. Per molti pm, però, il minore racconta sempre la verità, anche davanti ad evidenti contraddizioni.
Il libro prova a raccontare una macchina burocratica che vale milioni di euro. Un affare per molti: associazioni, centri di assistenza, consulenti, psicologi. Già all’atto della denuncia i bambini vengono portati via alla famiglia e in moltissime occasioni, come ha testimoniato Steffenoni, anche dopo l’assoluzione dei genitori rimangono nei centri protetti per anni. Le ragioni del libro – ha scritto in premessa l’autore – sono quelle di dare voce a chi non ne ha e non ne ha avuta ”stretto tra un’informazione che privilegia l’arresto e dimentica l’assoluzione e un’opinione pubblica che baratta le storture del sistema con l’illusoria convinzione che si tratti pur sempre di eccezioni”.
Da ANSA
lucaLuca Steffenoni, criminologo e scrittore, svolge la sua attività di studioso e consulente in collaborazione con enti ed istituzioni nazionali e comunitarie. Libero professionista, partecipa a ricerche della Comunità Europea nel campo della prevenzione, della vittimologia, dei flussi migratori e della recidiva dei padri incestuosi. Si è occupato tra l’altro di linguaggio e di comunicazione del messaggio preventivo per campagne di sensibilizzazione sociale nei paesi europei ed è consulente per autori che si cimentano nell’ambito letterario a sfondo criminologico.
E’ stato direttore del Centro di ricerca e counseling Psicologia e Benessere. E’ stato redattore della rivista Delitti & Misteri, insieme a molti dei più interessanti tra gli scrittori noir e giallisti italiani (tra gli altri Andrea G.Pinketts, Carlo Lucarelli e Massimo Carlotto) dove ha scritto di delitti classici e di numerosi temi di attualità criminale.
Il sito dell’autore: www.lucasteffenoni.com
Il libro: Presunto colpevole. La fobia del sesso e i troppi casi di malagiustizia (ed. Chiarelettere)

Le uova di garofano rosso

“Le uova di garofano rosso” intervista a Silvano Agosti
Venezia Lido, settembre 1991

D. I bambini che recitano nel film, dovendo interpretare delle parti che fondamentalmente sono del regista, non rischiano di essere forzati e trasformati nella loro personalità?
R. In una tradizione culturale che ignora la morte violenta di dodici milioni di bambini, fare una considerazione come la tua è sicuramente paradossale in quanto i tuoi genitori, insieme con i miei e con altri, hanno contribuito a servirci sul vassoio settanta milioni di morti «cresciuti» e dodici milioni di morti «bambini». In questo contesto, quando tu dici: «non credi di aver un po’ forzato…»… mi sembra una cosa paradossale. Però fa anche piacere questa sensibilità; intanto, io con i bambini non ho stabilito un rapporto ma credo che loro abbiano capito immediatamente che io ero uno di loro e quindi loro si sono trovati semplicemente a loro agio ed hanno fatto le cose che fanno sempre. Purtroppo loro non sono qua, ma se tu domandassi a loro… credo che non si siano neppure accorti di fare il film, tranne una volta che io gli ho chiesto di camminare a piedi nudi perché io da bambino non avevo le scarpe e allora… però dopo si divertivano… Non credo di aver forzato i bambini. Semmai una certa forzatura ho dovuto operarla sugli attori che come tu sai sono dei professionisti della bugia: con la scusa che devono simulare la verità mentono sempre. Io ho fatto in modo che loro tornassero ai loro gesti e ai loro sguardi primari: gli stessi sguardi che avrebbero avuto incontrando una persona o… così, mangiando una mela… Con i bambini mi sono trovato particolarmente bene, così come mi sono trovato bene con i personaggi. Nel film ci sono circa 86 personaggi due sono attori e gli altri 84 sono invece persone di Brescia.
D. Cos’è per Silvano Agosti la storia dell’umanità?
R. Non esiste una storia; esiste un confluire di infiniti destini verso un progetto, che secondo me è la conservazione della vita.
D. E la storia come grande menzogna?
R. Gli storici non sono capaci di raccontare l’insieme di questi destini comuni e dicono, per esempio, che Napoleone era un bravuomo perché… capito?… E allora non siamo d’accordo, non ci può essere accordo.
D. Ancora un film sul fascismo. Perché non occuparsi di guerre a noi più prossime, magari di quella che si sta svolgendo in Iugoslavia?
R. Andare a filmare in Iugoslavia adesso sarebbe per me un’operazione retrograda rispetto al film che ho fatto nel senso che… io sono stato a filmare anche situazioni molto drammatiche come, per esempio, quando in Grecia c’era Panagulis… io sono stato ad Atene, c’erano i Colonnelli e c’è stato un momento in cui mi cercavano quasi duemilacinquecento poliziotti. Filmavo questo documento che era tanto impressionante che anche la televisione svedese lo ha censurato e ha levato due scene che riteneva troppo forti emotivamente. io, però, non è che vada là dove c’è la guerra, o che mi metta a dormire nella mia macchina; se però una mattina mi sveglio, come mi è realmente capitato, e c’è un uomo che dorme nella mia macchina faccio in modo che lui ci stia quanto gli pare… (e infatti c’è rimasto 5 anni!). Del resto se lui va via non è che che io resti frustrato al punto di andargli dietro ecc. ecc…. se va via, va via…. fa parte della sua libertà. Quindi se domani la guerra dovesse venire qua, io che sono testimone di ciò che accade sicuramente trascuro qualsiasi finzione per filmare, ma non ho la competenza per andare a filmare la guerra in Iugoslavia.
D. Per la tua generazione cosa ha rappresentato la guerra?
R. Per la mia generazione la guerra era una cosa fantastica, era uno spettacolo straordinario: non capivamo che i morti erano degli ex-vivi… pensavamo che fossero un popolo come i tedeschi, gli inglesi, i turchi. Mi ricordo che quando andavamo a rubare l’alluminio sui treni, io una volta ho messo il piedino su un ferroviere morto e, sentendo il morbido della pancia, ho detto: «Però come sono gentili i morti: gli ho messo un piede sulla pancia e non ha detto niente…”. Quindi io vivevo così… non ho mai pensato che quando l’aereo si schiantava contro la montagna il pilota moriva. Noi andavamo a prendere i pezzi d’aereo ma non avevamo idea… Invece io, come si vede nel film, ho avuto un vero shock quando ho visto un passero morto in mezzo a quell’ospedale bombardato dove erano morti oltre ottanta bambini e io mi ero salvato perché ero nella portineria con una bambina che aveva gli orecchioni… non c’era posto… e attraversando tutti quei cadaveri io sono rimasto davvero shockato quando ho visto quel passero morto… Io ero abituato a vedere i passeri volare e vederlo lì per me fu uno shock terribile… Questo per dirti come è diverso il punto di vista e la sensibilità dei bambini. Nella scena del film è piuttosto esplicito questo fatto. in un certo senso lì è lui, il bambino, che “porta avanti” la vita degli altri bambini morti… Poco importa… Invece chi porta avanti la vita del passero? Nessuno, perché lui non è un uccello… E’ un bambino! In questo senso ti dicevo che per me la storia è questo confluire di destini verso un progetto misterioso di dare alla vita la propria caratteristica di eternità.
D. Per quale ragione gli adulti mentono?
R. Perché sono adulti!
D. E il buono del film, Crimen, mente come gli altri?
R. Crimen è anche uno che ha pagato con trentasette anni di manicomio criminale il fatto di non aver voluto dire dove fosse il corpo di sua moglie – è vera questa storia e realmente egli ha fatto trentasette anni di manicomio criminale -. Ma Crimen è uno che ha passato tutta la sua vita nell’immaginario, nel fantastico come fanno le mucche… Se voi osservate una vacca vedete che ha uno sguardo estremamente poetico che trascorre la sua vita nell’elementarità massima: è lì, guarda… Così uno che trascorre trentasette anni della propria vita in un manicomio criminale cosa fa se non immaginare continuamente? Quindi Crimen è come una specie di santo laico nel senso che lui è uno che la sa lunga; tanto è vero che avendo vissuto in modo così eterno il tempo, come è tipico di chi lo trascorre in una cella, lui lo eternizza per l’eternità… dice: “Io sento che adesso devo raggiungerti…” …C’è la moglie che lo aspetta lì da quarant’anni e si distende vicino a lei per l’eternità…. E’ lui che compie un atto che sa rà poi eterno. Io, ad esempio, mi commuovo sempre quando vedo quella scena di lui che va a morire perché c’è qualcosa di estremamente misterioso in quell’azione che non è repulsiva come il suicidio – Crimen non si suicida! -. E anche il sogno premonitore del bambino che lo vede morire prima che arrivino i suoi fratelli a dirgli che Crimen è morto… lui sa già… perché non è una morte, insomma… Il film dice che voi dovete essere felici perché non è una morte; nel film Crimen dice: “Voi dovete essere felici quando farò questo….”. Tanto è vero che il bambino è talmente felice che, nonostante la malattia e l’incubo del delirio (vede il mostro che gli dice: anche tu morirai!), si gira e vede l’immagine della zia nuda con in braccio l’infanzia e che nella sua ingenuità di bambino egli vede come la Madonna anche se si tratta di un’immagine di santità laica. Io sono molto interessato alla spiritualità laica, non gestita da una cultura confessionale.
D. Tu hai fatto un film in cui attacchi la non coerenza e la superficialità spirituale di molti cattolici…
R. T i riferisci al mio film plurisequestrato «Nel più alto dei cieli. Io in quel caso ho fatto un’operazione anatomica, purtroppo, non poetica… ma lo sapevo dall’inizio, nel senso che io facevo vedere ciò che di morto c’è nel dogma: quando una persona cede la propria coscienza ad un dogma è morta… E ciò che è morto è morto!
D. L’Italia è un paese cattolico?
R. L’Italia è un paese, come tu sai, mafioso sia in termini sociali, sia in termini spirituali. Il meccanismo che gestisce la logica della mafia in senso economico è lo stesso che gestisce la spiritualità. E’ come una specie di continuità mafiosa che parte dal dato economico e finisce nel dato emotivo e metafisico. C’è una ferocia assoluta nel trasformare il sentimento del mistero in una gestione religiosa di tipo confessionale… una ferocia assoluta come un ricatto mafioso. Voi sapete che oggi la mafia basa il proprio potere economico sull’eroina. E cosà è l’eroina se non un surrogato macabro del naturale desiderio di felicità che c’è nell’uomo? E cosa è la religiosità confessionale, se non un surrogato altrettanto macabro di una naturale pulsione dell’uomo verso il mistero. Questo per me … certo, io non voglio offendere nessuno…
D. E per chi volesse «salvarsi», quali strade suggerisci?
R. Intanto uno che ha il problema di salvarsi significa che già ritiene di essere in uno stato di grave pericolo. Non credo che uno che sta seduto sulla spiaggia abbia il problema di salvarsi; il problema di salvarsi ce l’ha uno che è in mezzo alla tempesta, in mare, e che non ha un appiglio… Grosso modo io mi sento di dire che una persona non deve essere in vendita, a nessun prezzo. Io spero che se uno ti dicesse: «Mi vendi il tuo cuore?» Tu dica «No». E l’altro: «Ma ti do mille miliardi…». E tu: «No». E ancora : «Ti do un milione di miliardi…». E tu allora cominci a pensare «Beh, forse con un milione di miliardi mi potrei fare un cuore artificiale…». Ecco, quel pensiero è già un pensiero perverso… il pensiero che si possa perdere la propria vita. Quindi se uno non ha la capacità di pensare che questo è un modo perverso, non ha neanche il problema di salvarsi perché è già salvo.
D. Se il concetto fondamentale del tuo film è che tutto è menzogna (la storia è menzogna, gli adulti sono… menzogna e il loro mondo è una menzogna continua) cosa rimane? Forse la verità della menzogna?
R. Ogni nascita umana o di qualsiasi emozione è una verità. Se però tu guardi una persona, ti piace e vuoi toccarla… questo desiderio è vero; però tu sei abituato a dare a quella persona del Lei, sai che ha un’altra età ecc. ecc… non dai una risposta, non dai vita a questa tua necessità e, invece di toccarla, gli dici: «Ma a te piacciono i film di…». In quel momento tu menti in modo spudorato e sei responsabile della tua menzogna. E’ in questo senso che io dico che noi viviamo in una cultura della menzogna.
D. Che esista una eventuale responsabilità è scontato. Mi interesserebbe sapere se, secondo il tuo pensiero, si tratta di una responsabilità diretta oppure condizionata?
R. Ognuno è personalmente responsabile non solo del fatto che egli mente ma anche di tutte le menzogne che vengono dette. La responsabilità è personale e molto grande. Tutti noi sappiamo esattamente quando stiamo mentendo, se abbiamo mentito o se continuiamo a mentire. Una volta, a Bassano del Grappa, mi trovavo in un cinema per presentare un mio film. Ad un certo momento un ragazzo – ce n’erano tantissimi – si alzò e disse: «Io sono contrario a qualsiasi forma di violenza!». Io dissi: «E’ falso, non è vero che tu sei contrario…». E lui: «No, io sono contrario». «E’ falso – dissi – ed io te lo proverò!». «Va bene, prova…». Allora lo feci venire vicino a me e con la mia mano gli coprii il naso e la bocca… Lui che aveva dell’orgoglio un po’ scioccarello resisteva tanto che io pensavo: “Io questo qui lo ammazzo… se fa il cretino… io tengo!”. Quando però lui senti che veramente stava morendo mi dette un colpo talmente forte da scaraventarmi a tre metri di distanza… E allora vedi che ad un certo punto, di fronte alla necessità di vivere, tu scegli qualsiasi cosa.
D. E una persona che per difendere un ideale accetta anche il pensiero di morire?
R. E’ uno psicopatico uno che si fa ammazzare… E’ una persona gravemente tarata.
D. E chi rischia la propria vita, è diverso?
R. No.. tutti rischiamo la nostra vita…
D. E chi espone volontariamente, per un ideale o per qualcosa creduto importante, la propria vita a consistenti rischi di morte? A proposito di guerra cosa pensi dei movimenti popolari in generale? A proposito delle vicende umane narrate nel tuo film, quali valori individui nella nostra Resistenza?
R. Non ti vorrei deludere, ma chi ha preso le armi durante la resistenza, almeno nella stragrande maggioranza, diceva: «Piuttosto che morire al fronte è meglio morire a casa mia!». in seconda istanza, la resistenza è nata dopo la caduta di Mussolini; prima della caduta di Mussolini non c’è stata nessuna resistenza… Quando un regime perde, come per esempio negli altri paesi dell’Europa, non gli viene perdonato di perdere e, allora, nasce la ferocia. E poi nasce il mito. A te hanno raccontato che erano eroi e che davano la vita… E’ assolutamente falso… Certo, c’erano anche degli straordinari esseri umani che però già da prima, dalle origini, erano stati carcerati, torturati… cioè, in pratica, continuavano la loro coerente azione. Ma nel mio film c’è anche quel povero diavolo che prima è un gerarca fascista e poi viene con il fazzoletto verde del democristiano a fare il partigiano… Questa è l’origine vera, questo è stato il camuffamento. Anche perché, se avessero fatto la Resistenza tutti quelli che dic ono di averla fatta, ci sarebbe da chiedersi chi era fascista e contro chi combatteva. Mentre un mese prima erano tutti fascisti… Le stesse persone che ai miei fratelli avevano regalato i vestitini dicevano che avevano sempre combattuto… E’ un modo spudorato… Io ho visto l’altro giorno un’intervista che mi ha fatto veramente piangere il cuore… Un’intervista di Lama… Lama, il senatore, ha detto: «Il partito comunista, non solo l’avrei bandito, ma l’avrei soppresso!» Proprio lui che era un convinto comunista fino ad un anno fa…. quindi questa miseria morale. Tutti i nostri padri erano fascisti e molti lo sono ancora, ma lo erano per ragioni diverse: c’era chi pensava che Mussolini, essendo un socialista, tentasse di realizzare il socialismo reale; c’era chi diceva: «In fondo questi qua ci danno da mangiare…» e poi c’era chi era fascista per opportunismo.
D. Nel film la figura della donna appare forse meno menzognera rispetto all’uomo. E’ così anche nella realtà?
R. Quando nel film la madre dice al padre «L’hai trovata?» lei sa benissimo dov’è la figlia. Lì c’è un modo diverso di mentire: la madre mente in senso progressista e il padre in senso reazionario: il padre mente perché ha paura e la madre mente perché dice: «Va beh, questa ragazza ormai è grandicella: è normale che faccia certe cose…» Mentono tutti e due. Facendo un esempio più vicino a noi è facile capire che se una ragazza dicesse a sua madre: «Sai, ho incontrato un ragazzo molto simpatico e vado a fare un giro con lui nei campi». Molto probabilmente la mamma risponderebbe: «No, stai lì!» Se invece la stessa ragazza dicesse a sua madre: «Vado a studiare da Emilia…» Lei – la madre – saprebbe benissimo che la ragazza andrà tra i campi con il ragazzo, ma preferisce non sentire… Oppure il marito alla moglie che invece di dire prendi il sale le dice «Hai visto il sale?» oppure «Dov’è il sale?»… a pranzo… sarà capitato. Ma perché un marito che è un essere umano non dice: «Portami il sale!»? La risposta è che dopo trent’anni che un essere umano dice ad un altro essere umano: «portami il sale», l’altro essere umano può dirgli: «Senti un po’: io sono trent’anni che ti porto il sale! adesso prenditelo da solo!». Se invece lui dice: «Hai visto il sale?» o «Dov’è il sale?», l’altro essere umano gli dice… ma lui può rispondere: «Si, ma guarda che io non ti ho mai chiesto niente, ti ho solo chiesto dov’era il sale!» Capito…? La menzogna… Non è mica che il marito sia cattivo; è che lui è scolpito nella menzogna… è questa la cultura corrente, cioè: tu sei la donna e devi andare a prendere il sale, io sono l’uomo e devo stare seduto. Questi sono i ruoli! Lui si sentirebbe persino menomato ad alzarsi a prendere il sale non sapendo che invece sarebbe la cosa più bella che potesse fare.
D. Il film vuol comunicare anche la bellezza dell’infanzia invitando a tornare, in qualche maniera, ad essere dei bambini?
R. Con gli adulti non parlo. Come non parlavo con loro da bambino, non ci parlo nemmeno adesso. Il film io lo faccio per quelli che hanno bisogno di sentire che stanno vivendo un percorso vero. C’è molta gente nell’oscurità della sala che dice: «Questo è ciò che penso io!» e allora la stessa gente ne trae un conforto reale… A me però non importa niente di redimere ciò che è irredimibile: uno che fa il funzionario, il padre, il marito… Cosa vuoi che vada a dirgli io? …. Io non gli parlo!
D. Potresti essere paragonato a Peter Pan?
R. Sì, certo, abbiamo la diversità che lui volava davvero, invece io volo con la mia mente e vado, tutti i giorni (consiglio anche a voi questa pratica a cui io ricorro dall’adolescenza) con l’immaginazione a farmi un giro dell’universo. Nell’ultimo romanzo che ho scritto e che si chiama «La ragion pura», il libro finisce proprio con questo giro oltre le porte di Urano e… Io mi immagino: parto, poi la luna, il sole… vado, vado, vado lontano, lontano… C’è un senso fantastico di presa di possesso dell’universo. Questo senso di immaginazione è un patrimonio!
D. Ti senti più adulto o bambino?
R. Io non mi sono mai sentito un adulto e sarei un deficiente a sentirmi bambino. Io sono un uomo… però è come se tu dicessi ad un albero: «Ti senti più seme, più arboscello o più albero?» Lui ti dice: «Ma cosa stai dicendo, io sono un albero!» «Vuoi saper… Sì, sono il derivato di un seme!» Ma se tu domandi ad un palo, lui non ti può più rispondere.
D. Tu, tra le righe, hai detto che gli adulti sono «persone morte»…
R. Infatti, il palo io lo paragono ad un adulto. Ad un palo: «Ma tu derivi da un seme oppure…?» Niente, il palo tace e poi non dirà niente perché non ha radici. è piantato. Poi… ci sono dei miracoli! Ci sono dei pali della luce che hanno fatto venir fuori delle foglie certe volte… Io li ho visti!” Io li ho visti davvero… dei pali della luce con delle gemme… si vede che si era… Non lo so: un vero miracolo!
D. Perché si sceglie di stare ai margini del cinema come hai fatto tu?
R. Io non so se sarebbe esatto… Mettiamo che tu sai che questo è un campo minato… Tu allora cammini fuori dal campo. E uno ti dice: «Come mai hai scelto di camminare fuori dal campo?» E tu gli dici: «E’ naturale… se vado lì esplode!»
D. Ma il cinema è un campo minato?
R. Il cinema industriale è esattamente come le sabbie mobili: più tu entri, più ti ingoia; mentre se tu stai fuori…
D. Chi è stato ingoiato dal cinema?
R. Tutti, quasi tutti meno alcuni. Ad esempio Bergman; per esempio Fellini che è un tipico esempio di una persona stritolata dall’industria del cinema: un uomo di grandissimo talento che fa dei film di una mediocrità assoluta. Non è, stiamo attenti, una questione di età perché Verdi ha scelto il Faust a ottant’anni e Fellini non ha ancora ottant’anni… Però ha fatto «La voce della luna» che è un film che se non l’avesse fatto lui… i critici l’avrebbero fatto ricoverare! E invece c’erano delle pagine grandi “così” con scritto che era un capolavoro…
D. Un’ultima domanda: si era più felici quarant’anni fa oppure adesso? E la giovinezza… Era più facile essere giovani a quei tempi?
R. Le infanzie sono tutte uguali…
D. Oggi i sociologi parlano di un malessere profondo e diffuso che attraversa tutta la generazione giovanile…
R. Trenta o quarant’anni fa il malessere era ancora più feroce!
D. Forse i giovani di allora avevano meno dubbi su cosa fare nella vita?
R. No… Nessuno sapeva cosa fare. Io, per esempio, sono scappato istintivamente da Brescia; sono scappato via perché era ed è una città di banche e preti per cui non c’era il minimo spazio per la vita… proprio non c’era! Tanto è vero che io ricordo il senso di afa profonda per la mediocrità della vita che si svolgeva lì tutti i giorni… non c’è mai stato un posto di dignità. Non c’era allora e non c’è adesso! Però i giovani oggi possono benissimo fare come le rondini che quando hanno imparato a volare se ne vanno via. Voi giovani, se volete veramente amare le persone che vi hanno procreato, ve ne dovete andare: ognuno nel continente della propria autonomia, pagandovi da mangiare, pagandovi da dormire con un lavoro di un ora, due ore al giorno… allora comincerete a sentire come è diversa la musicalità del vivere…
D. E’ solo un luogo comune dire che un tempo era meglio…?
R. E’ assolutamente falso. Fa parte di una retorica estremamente fascista: vuol dire che il passato era meglio. A parte il fatto che il passato è una burla perché non c’è: ciò che noi viviamo è il presente; anche nel mio film ho cercato di rendere evidente questa osmosi per cui all’inizio non capisce… Quando poi si è ormai abituato a percepire il passato, scopre che in realtà era il presente.

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