IO NON HO PAURA…

io non ho paura.. non me ne frega un cazzo delle conseguenze, ma se è vero che devo vivere per forza vivo come dico io.. Io non ho paura, io non ho superiori, gente da cui prendere i comandi, le mie scelte le prendo da me e subisco le mie conseguenze. Ho imparato che per essere qualcuno devi solo essere in pace con te stesso. Il resto, quel che succede attorno a te, è qualcosa di più grande e non sempre ti è consentito dominarlo. Attorno c’è la vita con tutte le sue incognite, le sue prove, ma anche promesse inattese che ci sono e che attendono che il nostro sguardo riesca a guardare oltre le nubi! Ed è questa cosa che col tempo ho con fatica imparato che credo di voler insegnare anche a mio figlio. 😉

L’universo di dolore che si agita dietro una separazione

NEL SEGNO DEL PADRE

C’è una stella lassù in cielo, sembra una bambina e brilla nella notte come una luce bionda.

Ha gli occhi verdi, sgranati a guardare il mondo: Matrix la guarda, e poi mi dice che quella stella ci sorride mentre parliamo di lei.

Sono due ore che Matrix mi sta parlando di questa stella, e sono due ore che a stento io riesco a trattenermi.

E intanto Matrix la cerca sempre, con lo sguardo, come fosse davvero viva, oltre che palpitante.

La luce della notte è una luce quasi insolita, per me, vista passeggiando intorno casa mia, mentre l’aria di Roma – un lievissimo venticello clemente che ancora non porta odori umidi e tristi di autunno – ci lascia indulgere nella nostra passeggiata serale.

E’ sabato sera, e nel pomeriggio non ho lavorato, ovviamente.

La mattina ho fatto due o tre visite, fra cui Pollo Solimano, e poi la bellissima e depressa M.V.

Poi aveva telefonato Matrix, e avevamo combinato di vederci nella sera.

Matrix ha un suo nome e cognome, ovviamente: deve comunque il suo soprannome al fatto che ci conoscemmo all’uscita del film omonimo.

Lui era con la sua nuova compagna, io con uno dei miei figli: ci mettemmo per caso a parlare del film, e poi di figli.

Lui aveva letto qualcuno dei miei articoli sull’argomento (sono su riviste specialistiche), e quando si rese conto che io ero l’autore di quegli scritti, mi parlò della sua tragedia. Matrix non vede sua figlia da tanto tempo: e per questo lui, quando parla con qualcuno della figlia, ed è notte, cerca sempre una stella, e dice che quella è sua figlia.

La figlia è ovviamente figlia ora di una guerra senza luce e senza pietà, ammesso che le guerre possano albergare in sé luci e pietà, ed è il frutto di un matrimonio iniziato e terminato nel giro di pochi anni circa.Da quando Matrix si è lasciato con la moglie, è iniziata nel giro di pochi mesi, una guerra ignobile e terribile, che alla fine ha portato allo stravolgimento di qualsiasi rapporto tra lui e l’ex moglie, e alla sottrazione della piccola V., che da anni vive in una località che Matrix non conosce e a cui viene impedito di vedere il padre pur se una regolare sentenza gliene dà ampia possibilità.

Guarda il cielo di Roma, Matrix, adesso, e dice che sua figlia è una stella che prima o poi lui rivedrà vicino a sé, e intanto racconta di come in questi anni lui abbia passato tutte le sfumature della disperazione umana, di cui ti sa raccontare ogni angolo e ogni respiro.

Racconta particolari che non posso nemmeno citare, e sopra tutto, Matrix racconta la folle crudeltà di un sistema che attraverso la “giustizia” riesce a creare solo dolore e ingiustizia.

La voce con cui Matrix racconta tutto questo è una voce che sembra solo sfiorare le cose umane, una voce che ormai sembra lontana e carezzevole: ha perso una figlia e ha trovato una stella, dice lui, e parla come se lui ormai vivesse su quella stella: una stella bionda come era sua figlia, e dagli occhi verdi.

Quando ti strappano una figlia e ti impediscono di vederla hai due sole strade, dice.

O impazzisci e fai una strage, o trasfiguri tutto in un mondo dove tutto questo crei un senso alla perdita che vivi.

Il fatto che una figlia strappata sia anche una figlia viva, e che sia stata strappata dalla cattiveria della gente, una cattiveria aiutata da un sistema folle come quello che nei nostri paesi dovrebbe garantire per prima cosa “giustizia” ai bambini, e invece la prima cosa che regala loro è il conflitto e le relative tragedie, il fatto – dicevo – che sia la cattiveria umana a toglierti una figlia, per un verso regala innegabilmente la speranza di rivederla, mentre per l’altro verso racconta alla propria rabbia l’irriducibilità di sé stessa, la terribile sfida di doversi fare una ragione di un odio terribile che non si può non provare ma che, per sopravvivere e per sperare di non distruggere ancora di più la figlia, non si può che cancellare.

Matrix è il limpido, luminoso esempio di come una coscienza umana possa creare una dimensione capace di trasfigurare in speranze e creazioni i propri limiti, le proprie distruttività, i propri errori e orrori: in quella stella bionda e dagli occhi sgranati e verdi ci sono dunque per tutti noi i segni di quelle creazioni che abbiamo dimenticato, e che portiamo chiusi in fondo al nostro cuore.

Matrix non è il solo padre in queste condizioni: e non è nemmeno il solo genitore. Ce ne sono tanti, che a causa di una logica folle, che coinvolge un intero sistema che dovrebbe tutelare gli affetti e invece li distrugge, hanno perso ogni contatto con i propri figli.

Casi nei quali si mostra tutta la paradossalità della nostra cultura – una cultura che vive nella logica di identificare nelle separazioni e nel conflitto la soluzione ai conflitti e alle separazioni.

La nostra – in altri termini – è una cultura che considera normale (ma normale per chi? E dove? viene da chiedersi) il fare la guerra contro la guerra, o combattere la violenza con altre violenze: una logica della contrapposizione che implica solo la contrapposizione e la scissione come soluzioni alle contrapposizioni e alle scissioni, e non punta mai ad accrescere e integrare ciò che appare separato e in conflitto (laddove tutto però, come dice Humberto Maturana, è una distinzione posta da un osservatore ad un altro osservatore, che può essere egli stesso http://www.matriztica.org e http://www.oikos.org/matit.htm ).

Ci sono figli che, in seguito alle lotte fra i genitori, vengono portati per sempre in altri stati: al 2004, il Ministero della Giustizia aveva in carico oltre milleeduecento casi del genere: bambini letteralmente rapiti ad un loro genitore, un genitore che oggi forse loro stessi non conoscono e non ricordano più, e che vivono all’estero, in terre assolutamente lontane.

Moltissimi i bambini italiani cui viene reso impossibile per anni incontrare uno dei due genitori.

Alcuni, come la piccola Valentina Cori, sono persino segnalati dalla Polizia di Stato nel suo sito tra i bambini sottratti (ciccando su questo link sarete diretti proprio alla pagina del sito della P.S. dedicata a Valentina CORI , il cui papà Enrico, altro mio carissimo amico ha creato un sito (www.valentinacori.it ) per poter parlare alla figlia scomparsa, sperando che qualcuno la veda. Valentina, assume la Polizia di Stato, si troverebbe in Sicilia, verosimilmente sottratta dalla madre. Di tutti questi poveri bambini, vittime di guerre folli, si occupano alcune associazioni di genitori come www.figlinegati.it e “ Figli sottratti” (dove si leggono storie realmente tragiche di bambini sottratti all’estero) o, anche, “Papà Separati”, che sono, insieme ad un altro paio, fra le più credibili e quotate.

Ma il vasto panorama delle associazioni di genitori separati – le sigle sono tante, e vorrei dire: troppe- indica che anche qua la separazione rimane la chiave paradossale con cui, cercando di affrontare un problema, lo si esaspera:

-Gli stessi padri separati spesso sono ragazzini che riescono solo a separarsi fra loro perché ognuno vuole comandare e se non ci riesce si separa…- dice Matrix, mentre guarda quella stella e sembra inghiottire, con questa frase, un altro dispiacere.

– Dove pensi che sia Flavia, ora?- gli chiedo.

Non mi risponde subito, Matrix, perché prima guarda in cielo, e poi la strada.

Ma stasera noi siamo la strada, la notte, il vento, e lui non riesce a sottrarsi dunque al proprio sguardo:

-Forse è in Italia, forse l’hanno portata … ma tu non scriverlo, questo, nel post…-

Matrix, cosa manca a tutto questo, per permettere tutto questo?

-Siamo una cultura che vive di leggi e sentenze, ma nessuno di noi vuole rispettarne davvero una, se non è quella che gli conviene. I giudici fanno i processi per stabilire a chi va affidata mia figlia, ma se poi la madre la rapisce e la porta via, nessuno si muove per ridarmela, tantomeno per condannarla.

Matrix ha ragione: impedire ad un figlio di vedere l’altro genitore è un comportamento che con estrema rarità comporta delle condanne.

Il reato, se viene ravvisato, non integra mai quello che in realtà accade, vale a dire una lesione profondissima dell’equilibrio di un bambino che sarà sempre un adulto amputato: se qualcuno si muove, e questo “se” il più delle volte rimane tale, il capo di incriminazione è un’elusione dell’ordine del giudice.

E con questo il Codice Penale, e la magistratura intera, chiudono i loro conti e conticini, ignorando cioè che quel bambino subisce un abuso emozionale che lascerà feroci segni nel suo cuore.

Al contrario, il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, implica una violazione degli obblighi di assistenza familiare: per il nostro codice e la nostra magistratura, dunque, si accudisce un bambino solo dando i soldi.

Poi, si può pure sparire, o fargli sparire un genitore, e non si commette reato.

Sono tragedie disumane, queste, e ogni volta che un bambino è costretto a perdere un genitore muore un mondo.

Ma noi viviamo in una cultura che non solo è indifferente a questo, ma che addirittura ne trae profitto: il contenzioso per l’affido dei figli genera decine di milioni di euro l’anno, e nessuno vuole rinunciarci: né le lobby professionali, né coloro che traggono altri profitti, più o meno indiretti, da tutto questo.

Ci sono intere categorie che traggono potere e denaro dal permanere di questo clima di continua conflittualità nella nostra società.

Non parlo solo degli avvocati: ma anche di chi si occupa di assistenza sociale, chi si occupa di perizie, chi ha case famiglie dove ospitare i bambini vittime del disagio genitoriale.

Sono in tanti a guadagnare dalle tragedie che triturano il cuore dei bambini.

-Non ci si può lamentare che siamo un paese in cui tra mafia e lobby politiche, si tenta sempre di sottomettere la giustizia e le leggi ai nostri interessi personali: lo impariamo da bambini- dice Matrix. E prosegue:

– I figli dei genitori separati sanno benissimo che se la mamma (o il papà, molto più raramente) se ne strafottono delle sentenze del giudice, non succede niente. Sono le mamme, in questi casi, che comandano, non i giudici. O i papà, quando ci si mettono loro a strappare le sentenze: meglio, a “vanificarle”.

La “vanificazione della sentenza” è infatti il termine, letteralmente inventato, con cui un giudice del Tribunale di Roma, la dr.ssa *******o, giustificò pienamente il comportamento di una madre che per anni aveva sempre evaso l’obbligo di salvaguardare i rapporti fra le figlie e il padre, e impedito loro di incontrarlo regolarmente.

La sentenza d’Appello risultò “vanificata di fatto”, e quel giudice dunque chiuse così ogni ipotesi e speranza che una sentenza debba davvero essere osservata, perché ritenne naturale, e non colpevole, che si potesse evaderla per anni, insegnando a tre bambine che il padre, che nulla aveva fatto, era persona da detestare.

In questi casi, dunque, la Polizia è impotente, il giudice se ne lava le mani, o, peggio, avvalla negli anni l’inosservanza delle sentenze, che addirittura legittima definendole “vanificate di fatto”, e i figli crescono naturalmente, e inappellabilmente, con la certezze che le sentenze non contano, e si possono “vanificare”, se non ci piacciono. Mia figlia questo lo sa molto bene, e lo sanno i figli di tutti noi separati. Come fa la magistratura a lamentarsi della capacità mafiosa di tutta una cultura, di tutto un popolo, di tutta una maggioranza politica, e cioè la capacità di fregarsene di leggi e sentenze, e, se non piacciono i giudici, di strappar loro i processi, se lascia che i nostri figli crescano proprio in questa cultura dell’evasione del Diritto?-

Cosa manca, Matrix, alla nostra società?

Manca il Padre, Gaetano, mi risponde. Lo sai, lo sai meglio di me. Manca un Padre interno, manca la capacità di crescere e di non essere figli in accontentabili e privi di regole.

Siamo una società di eterni figli, in accontentabili, viziati, incapaci di trovare un Senso e un Logos nell’esistenza, di definirci attraverso limiti e non soltanto bisogni.

Ha ragione Matrix: dalla nostra società è scomparso il Padre: ma non solo il ruolo, la figura familiare, il genitore di sesso maschile.

E’ scomparso pure quello, se vogliamo, ma soprattutto è scomparso dalla nostra coscienza, dalla nostra psiche più profonda. E non va identificato solo con la mera figura familiare, o, peggio ancora, con il figlio di mamma violento, prepotente, viziato, che quando si sposa pretende di restare il bambino inaccontentabile reso tale da una “mamma” sempre a disposizione, e che pretende di trovare nella compagna solo una persona che, con le buone o le cattive, lo accontenti e non gli imponga confronti.

I nostri figli vengono fagocitati sempre più dai desideri, dai nostri o dai propri poco importa, e non riescono a trovare più limiti che diano loro stima di sé stessi e senso al proprio esistere nella diversità e nella responsabilità delle proprie scelte.

Gli stessi figli vengono ridotti a optional del passatempo, e buttati in un cassonetto se considerati un peso, un ostacolo, o anche i testimoni di una vita non goduta: la madre figlicida è sempre considerata incapace di intendere e volere, al contrario del padre figlicida che viene sempre considerato colpevole perchè capace di intendere e volere, proprio perché il figlio è considerato sempre più una cosa destinata solo ad allietare e gratificare un’esistenza.

-Attento a scriverle, queste cose- mi avverte Matrix. Sai benissimo che sono impopolari.

Si, è vero, Matrix, ma tu sei il mio amico di tanti anni, e abbiamo combattuto insieme un bel po’ di battaglie, e lo sai che io scrivo sempre quello che sento, e che sento vero… e questa sera l’incontro con te mi ha suscitato proprio queste riflessioni, e io, che sono abituato a scrivere nei miei post esattamente quello che più sento come mio, oggi parlerò proprio di questo: abbiamo perso la capacità di ascoltare il Padre che è dentro di noi.

Il Padre è una figura fondamentale, presente, come lo è quella della Madre, archetipicamente nella psiche di tutti, una figura che ci guida nel mondo mediante regole senza le quali siamo perse, che ci dà la capacità di elaborare il dolore, che ci dà stima e forza in noi stessi, e ci regala la voglia, e la possibilità, di guardare in alto, e oltre, alla ricerca di nuovi domini e nuove dimensioni da affrontare.

La nostra cultura ha perso il Padre, e non può più crescere: siamo destinati a restare una società di eterni bambini, sempre indecisi fra una merendina e un videogioco, incapaci di andare oltre e affrontare l’esistenza dalla porta dell’esistenza e non dal video del reality show o dell’ultimo videofonino acquistato.

-Hai letto i libri di Risè, tu?- mi chiede Matrix.

Sono libri bellissimi e impressionanti, e riportano statistiche scientifiche terribili: “Il Padre, l’assente inaccettabile” riporta chiaramente come in testa ai suicidi, agli homeless, ai depressi, ai carcerati per gravi pene, ai tossicodipendenti, così come ai bambini violentati, ci sono loro, sempre loro: i fatherlessen, i bambini cresciuti senza il padre.

Perdere il Padre interno, ma anche quello esterno, vuole dire perdere il diritto alla vita, al confronto con l’esistenza, alla possibilità di vivere la propria autonomia come autonomia e non come desideri che qualcun altro ci deve soddisfare, lasciandoci alla nostra impotenza.

Lentamente io e Matrix torniamo verso casa mia.

Ci accolgono Paolik e Luca Suhe, i miei due figli più piccoli. Mancano i due più grandi: prima o poi verranno. Al momento sono indaffarati con la madre.

Chiedo a Matrix se vuole bere qualcosa, un bicchiere della staffa prima di andarsene.

Lui guarda la sua compagna, la bellissima Lara, russa, e lei gli dice che non se la sente di restare.

Matrix sorride e mi fa capire che deve andare: Lara ha un violento attacco di nausea, e vuole tornare a casa.

E già: Matrix e Lara aspettano un bambino.

Ed è questa la vita, la vita che continua: perché, da qualche parte del mondo, in una strada o in un angolo oscuro dell’Inconscio dove solo una ferita porta luce, c’è ancora un Padre che vuole tornare ad essere Padre.

Gaetano Giordano, psic in Roma

[Postato da Psic su 25 Oct 2005, 03:18
in General ( PSIC – Uno Psicologo on line)]

Un ringraziamento, in questa notte di notte e di sogni, per E.R., che mi ha accompagnato per le mie strade e i miei orizzonti

NOTA: I PERSONAGGI DELLE STORIE NARRATE SONO STATI RESI COMPLETAMENTE INIDENTIFICABILI.
I LORO DATI ANAGRAFICI E OGNI CARATTERISTICA ATTA A FARLI RICONOSCERE E’ STATA MODIFICATA

Meglio un innocente in più in galera che dieci criminali a piede libero!!! Purché, sia chiaro, non sia io quell’innocente….

 

[Immagine da : http://loscientista.blog.kataweb.it/files/2009/01/dipietro.jpg]

 

Post a carattere satirico
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

 

 

****************

DI PIETRO CON VELTRONI

L’ipoteca giustizialista

di Angelo Panebianco

Dopo l’iniziale sconcerto di alcuni e qualche protesta, è calato il silenzio sulla scelta di Walter Veltroni di allearsi con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro (che mantiene il proprio simbolo a differenza dei radicali), facendo così un’eccezione rispetto alla regola dello «andare da soli». Eppure quella decisione può essere foriera di rilevanti conseguenze sui rapporti fra la futura maggioranza (quale che essa sia) e la futura opposizione. Da quel che si è capito, la mossa di Veltroni è giustificata dalla volontà di «coprirsi» rispetto agli umori antipolitici che circolano nell’opinione pubblica. Non pare però che ci sia stata una attenta riflessione sui prezzi politici da pagare.

Da molti, e giustamente, è stata apprezzata, del segretario del Pd, la volontà, più volte affermata, di farla finita con l’eterna guerra civile italiana, di scegliere una competizione con il centrodestra non più fondata sulla demonizzazione dell’avversario. Quel nuovo stile e il nuovo clima politico che ha contribuito a suscitare hanno anche reso possibile ai leader dei due schieramenti (Veltroni e Berlusconi) di parlarsi fra loro con linguaggi nuovi. E fanno ben sperare, in linea di principio, anche per le future relazioni fra maggioranza e opposizione.

Ma l’alleanza del Partito democratico con l’Italia dei Valori mette a rischio tutto ciò. Di Pietro rappresenta l’antipolitica nella variante giudiziario- giustizialista. I suoi elettori tutto possono volere meno che la fine della guerra civile italiana. D’altra parte, nemmeno era ancora stato siglato l’accordo che già Di Pietro chiariva a tutti il senso della sua presenza politica proponendo, in pratica, l’esproprio proletario di alcune reti televisive. Come si concilieranno, nel prossimo Parlamento, lo stile nuovo e quella presenza?
Ma c’è di più. Non ci sarà mai nessuna possibilità di chiudere l’eterna transizione italiana se non interverrà un accordo bipartisan sulla giustizia. Ma Veltroni si è messo in casa una forza che lavorerà strenuamente (e giustamente, dal suo punto di vista, essendo quello il mandato che avrà ricevuto dagli elettori) perché un accordo del genere non possa essere siglato. Sarà difficile rimettere ordine, in modo consensuale, nel sistema giudiziario italiano. E continueranno le solite invasioni di campo (l’ultima in ordine di tempo, con il caso Mastella, ha dato il colpo di grazia al governo Prodi). L’Italia dei Valori, una piccola formazione che, in queste faccende, è in grado di trovare il sostegno esterno di un vasto esercito giustizialista, sarà lì, vigile, pronta a mettere veti. Prendiamo il caso delle intercettazioni che sono non solo una delle armi più avvelenate della politica italiana ma anche una spia evidente degli sviluppi patologici del nostro sistema giudiziario.

Riportare la giustizia alla normalità significa anche mettere regole e paletti, e cioè limiti, all’uso che i magistrati possono fare di uno strumento così delicato, che comporta l’intrusione nella sfera privata dei cittadini. Significa mettere la parola fine alle inchieste-mostro fondate sulle intercettazioni selvagge, «di massa» (intercetto mezzo mondo: alla fine qualcosa salterà pur fuori). Ne abbiamo viste fin troppe di inchieste del genere: grande fracasso, tante reputazioni fatte a pezzi, e poi, quasi sempre, una volta giunti in tribunale, tutto finisce in niente. Non è solo una questione di uso politico-mediatico delle intercettazioni. E’, prima ancora, una questione di rispetto delle libertà individuali. Ed è un problema di responsabilizzazione che sempre deve accompagnare e limitare il (grande) potere di chi fa inchieste giudiziarie.
Per dimostrare di non essere condizionato dai giustizialisti alla Di Pietro, Veltroni ha dichiarato di voler limitare l’uso mediatico delle intercettazioni. Lodevole proposito. Peccato che ad esso si sia accompagnata, forse involontariamente, l’affermazione, di sapore un po’ giustizialista, secondo cui i magistrati, a patto che ciò non finisca sui giornali, possono utilizzare le intercettazioni come, dove e quando vogliono. Ma ciò non è consentito ai magistrati senza che vi siano dei limiti nei regimi politici che rispettano davvero i diritti individuali di libertà. E’ difficile credere che l’alleanza del Partito democratico con Di Pietro non finirà per incidere negativamente sulla futura politica di quel partito.

25 febbraio 2008

[Fonte – http://www.corriere.it/editoriali/08_febbraio_25/ipoteca_dipietro_veltroni_e734aee0-e36a-11dc-9d24-0003ba99c667.shtml]

“Io valgo quanto amo” – Perché vado in carcere?

Il motivo è lo stesso per il quale andrei in qualsiasi altro posto: perché incontro sempre miei fratelli… Io valgo quanto amo. Don Danilo Cubattoli

Don Cuba. Al secolo don Danilo Cubattoli, cappellano del carcere fiorentino di Sollicciano

 

Sue le parole:

Vorrei mettervi le ali………

 

http://www.facebook.com/pages/don-Danilo-Cubattoli/47549570403

La pagina su FaceBook dedicata a don Cuba

Le emozioni che non danno la felicità

Wow, Francesca!
Arriva di tutto con la posta tranne che te.
Tu proprio non arrivi.

Anche ieri che hai detto di essere lì per dare notizie di te, qualcosa è poi andato storto e i tuoi pensieri sono rimasti tutti tuoi.

Mi hai detto di non essere ansioso.
Sul momento ti ho presa sul serio giacché in molte situazioni della mia vita l’ansia si è realmente manifestata e talvolta si manifesta tuttora.
Poi ho pensato che l’ansia in questo caso non c’entra proprio niente.
Ansia è paura per qualcosa di fortemente negativo che potrebbe accadere e che viene “anticipato” nell’istante esatto del pensiero.

E allora puoi dirmi di cosa dovrei aver paura adesso io?
Puoi ricordarmi cosa potresti farmi (ancora) tu?
Chiama pure l’impazienza come vuoi, ma ansia proprio non rende l’idea… anzi avvolge di “patologico” qualcosa che mi sembra più che normale….
Probabilmente è semplicemente desiderio di sapere cosa pensi, se può esistere qualcosa che giustifichi il fatto che io possa stare ancora ad ascoltare ciò che dici di potermi dire.

Credimi, lo ho fatto così tante volte che dovessi raccontarlo sarei sicuramente in imbarazzo.

ADDIO…

Lo avevo già deciso ieri e avevo usato un bel po’ di energie per convincermi che la strada da seguire era quella di interrompere questo strano rapporto esistente tra noi.
Sai bene quanto potesse dispiacermi buttare lì quelle parole… In ogni caso mi ero lasciato un filo di speranza e se fai attenzione troverai scritto ADDIO ma non troverai MAI PIU’.
Sono due cose fondamentalmente diverse.

Addio, almeno nelle mie intenzioni, voleva e vuole solo dire che avrei pensato di rivederti solo in mutate circostanze, circostanze che mi rendo conto di non poter in alcun modo modificare se non solo superficialmente.
Vuole comunque anche dire accettare la possibilità di non rivederti mai più.

Che senso ha – continuo a chiedermi – rincorrere qualcosa che non potrà mai far parte della mia vita o qualcuno che non avrà mai la volontà piena di accettarmi nella sua vita?
Cosa mai potremo fare insieme? Cosa resterà alla fine di tanto sforzo? Cosa lasceremo di minimamente profondo e umanamente indelebile?

Del resto sono convinto che per le “intese” occasionali e superficiali non ci possa essere né presente né futuro: nessuna speranza di felicità degna di tale nome. Magari episodi di ebrezza, emozioni ricche di fascino….
Io non so dirti cosa sia la felicità, quindi inutile chiedermelo….
Non so spiegarlo né so tradurre in parole quel che sento possa darci felicità.

Definizioni di felicità prese a prestito qua e là non sono neanche queste soddisfacenti.
Ho avuto tanti momenti di serenità… un po’ meno di felicità.

Felicità – qualcuno ha cercato di spiegarmi – è rompere il guscio, uscire da sé stessi, vivere per qualcosa che si pensa più grande ed importante. Ma che vuol dire anche questo? Può bastare?….
Vorrei poterti dire che sono felice quando sono con te… ma la felicità – di questo sono quasi certo – non si costruisce da soli.
E allora posso solo dirmi che sono emozionato quando sono con te.

Dopo infiniti tentativi di convincermi del contrario ho deciso che questo non mi basta, anzi che non è giusto accontentarsi di questi surrogati di sentimenti giacché ognuno ha il diritto e insieme il dovere di cercare la felicità. Felicità per sé e per gli altri.

Forse leggerai queste mie righe o forse le butterai in un angolo della tua mente come spesso capita, come spesso hai fatto. Non voglio che tu pensi che non ho il coraggio di dirti questo di persona, e tante volte del resto ho provato a parlarti cercando la tua attenzione.

Questa allora non è che una piccola stigmate su quello che è stato, qualcosa di scritto che non potrai con il tempo dimenticare o alterare per crearti una versione comoda.
Sono sfinito, ho perso l’entusiasmo e la voglia di parlarti e di farti capire cosa provo e quello che sento, forse perchè spesso mi sembra che ci sia solo tu nei tuoi pensieri, solo tu e le tue problematiche e che tutto giri intorno a quello che tu pensi.

Sono arrabbiato di vedere come tutto quello che abbiamo vissuto e tutto quello che ti ho detto possa divenire solo motivo di discussione o di interpretazione della realtà.
Sono offeso di vedere che di me, in fondo non ti interessa tanto, che in fondo sono come un giocattolo appoggiato in un angolo che ogni tanto ti ricordi di spolverare.

Non so se mai hai pensato che le cose non si puliscono da sole, che l’acqua non nutre una pianta in casa se non gliela metti tu.
Sono questo io, una pianta assetata che attende e che attenderà fino alla morte del sentimento che ormai sento approssimarsi. Una fine detestata, a volte disperatamente cercata, poi sempre respinta… Ma anche un epilogo necessario fosse altro che per l’urgenza di sopravvivere.

Ti scrivo per dirti che non riesco più ad accettare di esserti vicino in questo modo, che forse non riesco più a provare quello che pensavo bello, ormai sono troppo stanco anche solo per parlarti: sarebbe solo un ennesimo momento di nulla che riempie le mie notti.

Grazie di quello che sei stata, grazie di avermi fatto sentire importante (è accaduto un casino di volte!), grazie di avermi insegnato che non sei pronta a ricevermi, se tutto quello che ti dò non sai dove metterlo.

Resta la voglia di quell’Addio… il desiderio fortissimo che qualcosa cambi e che trasformi la realtà che ci unisce e che, al tempo stesso, ci tiene distanti. Voglio che questo – se dovesse avvenire – avvenga senza attendere inutilmente che il tempo scorra e sorpassi le nostre vite… Che “la cosa” si compia, adesso. Troppo lunga è stata l’attesa.

Io sono qui. Sono lo stesso di sempre. Vorrei scoprirti meno distante. Vorrei queste cose…  on line pharmacy tu sai bene che questo in gran parte dipende da te, da quello che soprattutto vorrai decidere di voler fare della tua vita.

Ti ho voluto bene e ho desiderato averti a fianco come mai è accaduto per nessun altro.  E’ successo per anni interi in cui ti ho amata in completa solitudine e te lo ho detto una infinità di volte….
Per questo sei e rimarrai comunque la mia Stella.

E ho scritto queste cose soprattutto perché se ne possa parlare, anche litigare se tu ne avessi voglia, soprattutto capire oltre quello che abbiamo già detto e che spero sempre nasconda qualcosa di più interessante. Giorni migliori, insomma.

Ti abbraccio forte

Firenze, 16 febbraio 2007

Quegli squilibri del pensiero che fanno stare bene..

Rita!:

boh…. ho scritto qualcosa su meetic poi sono tornato qui. Sto vagando da un angolo all’altro e da un numero telefonico a quello successivo. In modalità random, per giunta.

Finire in un bordello dei primi novecento credo sarebbe stata sicuramente un’esperienza più decorosa, meno deplorevole e più edificante.

Adesso mi pongo davvero domande del cazzo… temo seriamente che la realtà, mentre gli anni sono trascorsi (non tanti, a dire il vero…), sia diventata una trappola inesorabile per pensieri, sentimenti, aspirazioni e desideri. Magari non dei miei… ma che cambia se tutto attorno si muove in questa direzione? Dove sta la via d’uscita se ho la possibilità di relazionarmi solo con persone che ormai hanno, più o meno consapevolmente, accettato questo modello per vivere il tempo e popolare i luoghi? Questo non è sopravvivere, è qualcosa di più oscuro, più sfuggente…

Tutto era iniziato con la mia balorda idea di trovare un annuncio più accattivante… Qualcosa che potesse stuzzicare la curuiosità di ragazze più giovani… (under 32 🙂 !!!)
E l’obiettivo, mi preme precisarlo adesso, non era quello di procacciarmi l’illusione di potermi trovare tra le mani il corpo di una ventenne…. piuttosto e più seriamente quello di uscire dal giro di pensieri che pensavo legati all’età… quelli del colpo e via, per intenderci.

Macché… il nuovo annuncio, per certi versi meno banale e concettualmente più denso, ha continuato ad attirare le solite over 40 in cerca di occasioni talmente importanti da poter soddisfare la loro “naturale” aspirazione ad una “sana” vita sessuale… Affetto e progettualità di coppia son cose ormai lontane. Forse risolte, forse sepolte…. Mi pare addirittura che il ruolo di queste parole si sia poi arricchito di arcani significati tanto che se ne parli… finisci con l’essere visto come un ET.

Ma poi la ragazza giovane, spigliata, decisa.. ecc. era arrivata… D’un tratto… una sera… “Tu hai scritto quelle cose?..”…
Alla mia semplice risposta affermativa… Lei: “Io sono quello che tu cerchi… io sono in quel modo… questo è il mio msn.. andiamo là..”

Poi un graduale crescendo di interesse, di coinvolgimento emotivo (più suo che mio, ma anche mio almeno inizialmente..), di notte insonni in cui le 6 ore di fuso orario non facendo collimare le nostre notti… han finito nel giro di una settimana semplicemnete per dilatare le giornate al looro massimo di 24 ore… Dormire, non era importante.

Il resto a grandi linee lo sai… ha seguito la solita geometria della parabola già predestinata a riportarmi al punto esatto da cui ero partito.

Tornando a quanto hai scritto…  ok!!! Sei il top delle persone conosciute in questo periodo… (so che è riduttivo, ma bisogna pur che ti accontenti in tempi di economia come questi!…)
A me va bene così… Se ben ricordi ti dissi io che avrei voluto avere la possibilità di incontrare qualcuno senza particolari attese ecc. ecc.

Mi sorprendo ogni volta che scrivi per la profondità e l’originalità delle cose che dici. Vorrei ricambiarti, ma ti prego di credermi se dico che in questo ultimi due mesi faccio una gran fatica a mettere insieme pensieri… Chissà… dovrei chiederne forse la ragione a qualche esperto… ma la risposta statisticamente assicurata so già che sarebbe qualcosa di apparentemente rassicurante del tipo “è normale che senti questo… con quello che stai vivendo…”

Macché, macché….. qui finisce che tutto ciò che non dovrebbe essere e che avrei sempre voluto tenere lontano diventa “normalità” quotidiana….

Forse ho problemi da risolvere… forse…. O forse ciò che io cercavo con fatica anni fa davvero ha oggi perso valore nella scala delle priorità del vivere contemporaneo.

Le idee non sono certo chiare… forse sarà anche che mangio una volta al giorno per non voler ammettere di essermi messo a dieta… (mi sembra stupido con tutto quel che c’è da fare…)
Scrivo in modio confuso, lo sento. Ma so che tu sei molto brava a leggere e ad intuire questi pensieri… per cui son sicuro che capirai.

Scusami se ho parlato solo di me… ma oggi proprio non riesco a distogliermi da quanto visto.

Poi son curioso… e spero che ti racconti da sola! Quel Musieri che aveva chiamato appena rientrata in italia… poi corre da Pisa…
Ma non avevi detto che era troppo giovane…???

Si insomma… magari la tua storia è meno tragica…. Me la racconti? 🙂

E poi dimmi quando ci si becca dal vero…

Ciao

Gianni

Il conflitto sociale contro la famiglia nucleare che serve solo a certi potentati

Chissà se gli assertori della DEMONIZZAZIONE DELLA “FAMIGLIA NUCLEARE” si renderanno mai conto che l’attacco alla famiglia patriarcale a mezzo di un CONFLITTO SOCIALE senza precedenti ha trovato l’APPOGGIO DI ALCUNI POTERI DELLO STATO perché QUEL CONFLITTO (Che Buy Xenical Online uccide e distrugge uomini, donne e bambini) SERVE agli interessi di POTENTATI che su quel conflitto stesso costruiscono il loro impero economico.

Chissà…. ma quando ciò sara’ evidente noi potremo almeno dire: “non siamo stati compici”.

Padri separati & femminismo: un conto aperto da chiudere in fretta

Sono ormai trascorsi 8 lustri dalla legge n. 898/1970 sul divorzio del 1 dicembre 1970. Una legge giustamente voluta e richiesta dai movimenti femminili per dare risposta ad una indissolubilità del matrimonio che trovava nella realtà sociale del tempo l’ingiustizia di convivenze impossibili. Pur al grido di io sono mia e mi gestisco io il divorzio fu invocato quindi come estrema ratio per quelle situazioni caratterizzate dalla irreparabilità di un rapporto ormai non più recuperabile.

Oggi che quaranta anni sono trascorsi possiamo concederci alcune considerazioni soprattutto tenendo conto che col trascorrere del tempo la legge iniziale ha gradualmente trovato supporto e attuazione concreta con l’applicazione concomitante di nuove e diverse norme giuridiche inserite nel codice civile e, sempre più frequentemente, anche nel codice penale.

Quando negli anni in cui il movimento delle donne italiano fremeva per l’attuazione di leggi che sostenessero le rivendicazioni femminili non esisteva alcuna forma di aggregazione maschile in grado di “contrattare” quelle rivendicazioni e credo sia abbastanza pacifico ritenere che le istanze femministe furono accolte in assenza di alcun reale contraddittorio uomini/donne. In conseguenza di ciò, l’attuazione di norme e prassi separative potè avvenire senza la necessita’ di particolari mediazioni.

Del resto il mondo maschile fu colto come di sorpresa da quella enorme bolla che fu il femminismo e che, insieme alla liberazione sessuale, portava in sé e fin dall’inizio un carico enorme di accuse al mondo maschile responsabile, almeno agli occhi di chi quel movimento sosteneva, di secoli e secoli vissuti all’insegna di ingiusti atteggiamenti sociali non equalitari e soprattutto oppressivi nei confronti del genere femminile.

Ancora oggi alcune esponenti del movimento di quegli anni sostengono che qualsiasi mediazione non sarebbe però stata in alcun modo possibile annoverando le conquiste dei diritti delle donne in una sorta di bottino di guerra frutto di una rivoluzione degli schiavi insorti contro il padrone (come tale da non coinvolgere e, in quest’ottica, plausibilmente da escludere e forse “punire”).

Non sappiamo né potremo mai sapere come gli uomini, i singoli capofamiglia del tempo, abbiano vissuto l’ingresso del divorzio nella normativa e la successiva capillare penetrazione di un costume totalmente e poliedricamente nuovo. Possiamo solamente constatare come l’atteggiamento maschile sia stato indubbiamente caratterizzato da una marcata passività.

Il divorzio quindi anche da leggere come il sintomo di un cambiamento sociale che non poteva attendere. Il divorzio anche e soprattutto come uno strumento non dichiarato per sostenere le istanze femministe è una considerazione che possiamo fare noi a posteriori consapevoli che nel corso della storia sul palco c’era solo e solamente il mondo femminile. Ma quali erano le domande del mondo femminile alla societa’ civile? Tra queste c’era sicuramente il discorso dei pari diritti e delle pari opportunita’, c’era il desiderio di destrutturare ruoli millenari e c’erano anche mille altre richieste. Le più varie. Le più articolate. Tutte in evoluzione man mano che gli anni sono poi trascorsi.

Anche la provenienza di queste istanze era poi diversa proprio perché col tempo la compattezza del femminismo venne meno ed esso si divise in più correnti ognuna caratterizzata da una diversa tolleranza alla scia resistente dei ruoli uomo/donna che permaneva e permane tuttora. Dal femminismo naquero quindi i femminismi ossia movimenti diversi con istanze e progettualita’ diversa originatisi dal movimento femminile anni 60/70.

A grandi linee il percorso che porto’ dal femminismo ai femminismi fu questo mentre, per quanto riguarda il versante del “divorziare”, possiamo constatare che inizialmente esso fu davvero una scelta alternativa e che pochissime persone decisero di lasciarsi legalmente: alcune perché costrette dai doveri morali, altre perché non vedevano un’alternativa alla famiglia d’origine.

Oggi non è più così e se da un lato il divorzio è sinonimo di libertà individuale, dall’altro anche spaventa perché è divenuto chiaro a chiunque (man mano che ha preso forza la consapevolezza individuale dei cambiamente storici) che oggi i rapporti interpersonali sono destinati a finire. I dati Istat del resto lo confermano: in quindici anni i divorzi sono triplicati. Nel 1995 se ne contavano 80 ogni mille matrimoni, nel 2005 si era saliti a 150, per toccare quota 273 ogni mille matrimoni nel 2007. Per renderla più chiara ogni anno si sfasciano circa 200 mila famiglie.

E’ dagli anni novanta, e cioé a distanza di 20 anni dall’introduzione della legge sul divorzio, che assistiamo invece alle prime “reazioni” maschili.

Nel 1988 nasce l’ISP (Istituto Studi Paternità) fondato dal giornalista Maurizio Quilici. Si tratta di una organizzazione con “obiettivi scientifici e culturali” in ordine alla promozione della “cultura della paternità e di tutti gli aspetti psicologici, pedagogici, sociali, biologici, storici e giuridici collegati”. Successivamente, e anche in collegamento conl’ISP, a partire dal 1991, iniziano a fare la loro comparsa i primi movimenti di genitori separati. Il primo movimento recante la denominazione di “Associazione Padri Separati” (APS) nacque a Rimini nell’autunno del 1991 grazie all’industriale Alberto Sartini, mentre due anni più tardi, Marino Maglietta, fisico dell’Università di Firenze, fondò l’associazione nazionale Crescere Insieme. A Napoli nel 1992, sotto la guida del prof. Bruno Schettini, vede la luce l’associazione “Genitori Separati” (Ge.Se.).Gli anni seguenti videro poi la nascita di parecchie associazioni di padri. Nella primavera del 1994 fu fondata “Papà Separati Milano” – Associazione per la tutela dei diritti dei figli nella separazione” – sotto la guida dell’ing. Ernesto Emanuele. A Roma fu fondata Gesef (Genitori Separati dai Figli) il cui primo presidente fu Elio Torelli. Dal movimento di Ernesto Emanuele, il 30 aprile 1998, nacque a Napoli l’associazione “Papà Separati” (APS) fondata dal dr. Alessandro Ciardiello, che da subito si caratterizzò per una costante diffusione in tutto il territorio, divenendo ben presto Associazione Nazionale (ANPS). Nell’anno 1999 nacque l’Associazione Mamme Separate, ad iniziativa del Presidente Rosy Genduso.

Il vasto panorama delle associazioni di genitori separati, tuttavia, indica che anche qui la separazione rimane la chiave paradossale con cui, cercando di affrontare un problema, lo si esaspera: gli stessi padri separati spesso si dimostrano incapaci di coalizioni efficaci e riescono solo a separarsi fra loro perché ognuno vuole comandare e se non ci riesce si separa. Ben pochi sono disposti ad ammettere questa dinamica della quale però tutti i militanti hanno comunque consapevolezza tanto che all’inizio del marzo 2008 emerge vincente la proposta per la costituzione di una nuova forma associativa, onde compensare l’eccessivo frazionamento delle associazioni di genitori separati.

Pochi anni fa si pensò infatti di dar vita ad un nuovo soggetto: una associazione di associazioni che avrebbe fatto da collettore per i rapporti con media e istituzioni. Inoltre il nuovo soggetto avrebbe potuto elaborare nuove proposte di modifica normativa da sottoporre al Parlamento, oppure dare forza a quelle già presentate da altre associazioni. La nascita di Adiantum si concretizza il 12 giugno 2008, durante il Simposio di Nisida, quando otto associazioni firmano un protocollo di intesa per la nascita dell’Associazione Di Associazioni Nazionali per la Tutela del Minore (Adiantum).

Siamo dunque giunti a parlare di quello che sta avvenendo adesso. Infatti a seguito di una progressiva presa di coscienza da parte dei movimenti satellitari (idealmente satellitari al movimento iniziale che fu promotore del divorzio), esistono e sono sempre più presenti le associazioni dei genitori che vivono sulla propria pelle e su quella dei loro figli gli aspetti più negativi di una normativa lacunosa e faziosa che aveva imposto regole spesso disumane al divorzio. Si tratta di associazioni nazionali e locali che con sempre maggiore convinzione e determinazione pongono al centro del problema “separazione coniugale” i figli. Già, proprio loro! I figli che nelle separazioni erano stati gli attori-spettatori dimenticati dal femminismo (autore e propulsore della prima normativa) e che, nell’ansia del conseguimento dei diritti femminili, pare avesse grossomodo allontanato dalla realta’, spesso relegandoli in sacche di immane sofferenza.

Oggi che i padri (ma anche molte madri!) rivendicano un diritto di famigllia più attento ai figli, queste loro associazioni sembrano vivere la stessa “fortunata” stagione che visse il femminismo quando, denunciando la mancanza di diritti femminili, ebbe dalla societa’ civile praticamente carta bianca. Le associazioni dei genitori separati riportano sulla scena – quale protagonista principale – I FIGLI e trovano (non sembra vero!) dall’altra parte della barricata un movimento delle donne ripiegato su se stesso e che difficilmente potrra’ essere legittimato ad avanzare istanze per i minori considerato il fatto che in quaranta anni di vita dei figli il femminismo non ha mai parlato se non in funzione delle reiterate iniziali istanze sempre a favore degli adulti di sesso femminile.

Ecco perché il conto è ancora aperto e deve essere chiuso in fretta. Ed ecco anche perché l’orizzonte si profila abbastanza azzurro considerato che il riequilibrio dovra’ necessariamente passare per questa strada consentendo tra l’altro le mediazioni che negli anni settanta non furono possibili e che adesso vanno a braccetto con l’interesse superiore dei minori.

Il cammino sembra quindi destinato a nuovi equilibri che dovremmo poter apprezzare molto presto e che riportando in primo piano l’interesse dei figli consentiranno anche un  recupero di genitorialita’ e diritti maschili.

Il superiore interesse del minore non può del resto altro che spingere in questa direzione.

E’ stata lunga – potremmo dirci – ed è stata anche dura la strada percorsa.

Sono in molti coloro che adesso vorrebbero poter guardare indietro e chiedersi se ne sia valsa o meno la pena: tanta sofferenza, tanta ingiustizia, tanto sangue anche, alla fine per chiedere e ottenere giusti diritti per il genere femminile effettivamente ha in sé qualcosa di paradossale.  Questo tipo di domande, pur essendo umanamente più che comprensibili, non credo posano avere risposte certe. Forse non potranno proprio avere risposte. Del resto la storia, ci risponderebbero i più machiavellici, ha le sue imperscrutabili ragioni….

Molto probabilmente altro non resta che rallegrarci per una meta che ormai sembra ragionevolmente vicina. Non rimane altro che collaborare e restare uniti per poter varare un nuovo diritto di famiglia rispettoso ed equilibrato verso le necessità di tutti i soggetti coinvolti sia nella formazione che nella separazione di un nucleo familiare.

Solo allora si potranno quindi chiudere i conti di una rivoluzione sociale apertasi ufficialmente con la legge sul divorzio del 1970.

“Il Padre è una figura fondamentale, presente, come lo è quella della Madre, archetipicamente nella psiche di tutti, una figura che ci guida nel mondo mediante regole senza le quali siamo perse, che ci dà la capacità di elaborare il dolore, che ci dà stima e forza in noi stessi, e ci regala la voglia, e la possibilità, di guardare in alto, e oltre, alla ricerca di nuovi domini e nuove dimensioni da affrontare”, citando “Nel segno del padre” di G. Giordano.

Quaranta anni. Una generazione o poco più per perdere e ritrovare il padre, i figli ed i loro ruoli fondamentali nella crescita della nostra così come di qualsiasi civilta’. Quaranta anni per rivalutare le loro ragioni e la loro ricchezza. Quaranta anni per reinserire padre e figli nel tessuto vivo della nostra stanca e (ma solo a volte e per periodi di tempo limitati) distratta societa’.

1 2 3