La misconosciuta sofferenza apparsa l'altra sera in tv


da http://www.l'avvenire.it 09/12/2006

di Claudio Risé


Nicola De Martino, l'uomo che l'altra sera ha minacciato di darsi fuoco nel (forse primo) telegiornale che raccontasse con rilievo una terribile storia (la sua) di padre separato dal figlio, ha mostrato l'attuale debolezza della paternità. Non è certo dopo una vittoria che si inscena una protesta spettacolare (anche se quel padre per anni ha protestato, dovunque poteva). Non davanti a un figlio che costringi, a quel punto, a farti da padre e a chiederti di non farlo più. Non davanti a milioni di spettatori che hanno sete di immagini mediatiche che finalmente restituiscano loro quel padre che essi conoscono, e spesso sono. Un uomo semplice e forte, che accanto a madri generose consente, con la sua fatica e buonsenso quotidiano, che la vita continui. Alzandosi la mattina, lavorando e guadagnando quanto occorre, accudendo quanto può i figli, ed educandoli quanto sa. Una figura non eroica, non spettacolare, spesso deludente rispetto ad aspettative grandiose alimentate dal sistema delle comunicazioni nelle stesse compagne, e nei figli. E tuttavia, proprio per questa sua disponibilità a sacrificare silenziosamente la propria vita, lontano dai riflettori e dai battimani, una figura grande: "il vero avventuriero", come diceva del padre Charles Peguy, contrapposto a quelli falsi, di celluloide, della modernità.
Certo, quella dell'avventuriero silenzioso, che vive per la famiglia, in un modello antropologico che sembra volerla distruggere, è una vita difficile. Negli Usa (ma nelle grandi metropoli italiane ed europee la tendenza va nella stessa direzione), il 70% delle separazioni è chiesta dalle mogli, che vogliono lasciare quel marito-padre. Ed ovunque nel mondo occidentale è quasi sempre alle mogli, richiedenti la separazione, che vengono affidati i figli, e la casa coniugale, in assenza di ogni colpa paterna. La percentuale degli affidi al padre è in lenta salita, e l'affido condiviso è ancora molto impopolare nella maggior parte dei Tribunali. Questi padri cacciati, che perdono in un colpo solo moglie, figli, e casa, inascoltati da Tribunali spesso indifferenti sia al loro dramma, sia a quello dei figli che vedono la propria stessa identità messa a rischio da questa rottura, stanno molto male, a volte per anni, a volte per sempre.
Questo malessere De Martino l'ha illustrato benissimo dagli schermi del Tg2.
Non è invece chiaro, almeno in Italia, che questa disperazione rischia, se non riconosciuta e affrontata, di destabilizzare buona parte della società. Non tanto perché i padri separati alimentano, come sa bene chi lavora nel volontariato, le schiere dei "nuovi poveri". Ma perché al loro malessere si unisce sempre di più il sentimento di offesa degli altri padri, quelli che a prezzo di grandi fatiche tengono uniti i matrimoni e vengono, comunque, additati come mostri alla pubblica opinione. La provincia di Brescia, ad esempio, è oggi coperta da due manifesti conturbanti. In uno una bimba mostra l'occhio livido, e la scritta spiega: L'occhio blu me l'ha fatto papà. Nell'altro un ragazzino percuote una bambina, e la scritta spiega: Lo fa anche papà. (Istigando i ragazzi, implicitamente, a un machismo violento). Promotori sono il comitato bresciano per le pari opportunità, i sindacati locali, comuni della zona. Io lavoro con molte persone di quell'area e so bene (come dimostrano le statistiche mondiali), che la violenza non è prodotta dai padri, ma dalla loro assenza. Che priva i giovani di un'autentica educazione dell'aggressività, e al suo controllo. Anche questi manifesti, contro il padre, non potranno che aumentare la violenza dei figli, e la disperazione dei padri.