25 NOVEMBRE GIORNATA
INTERNAZIONALE CONTRO Dove
si nasconde Istituita dal Fondo delle Nazioni Unite nel 1999, la ricorrenza è passata quasi in sordina negli anni precedenti. Quest’anno è stata invece preceduta da un tam-tam mediatico, che ha diffuso dati ISTAT sul fenomeno nel nostro Paese, omettendo curiosamente di menzionare i dati internazionali risultanti dal rapporto del Segretario dell’ONU. Vediamo perché. La stampa americana, qualche giorno prima della ricorrenza, ha riportato la notizia che l’ONU ha respinto il rapporto del suo Segretario Generale in merito alla violenza contro le donne in quanto “oltraggiosamente inaccurato, costrittivo, manipolato e soprattutto pericoloso”. La decisione ONU sembra determinata dalla forte pressione di una organizzazione transnazionale costituita da centinaia di affiliati – tra cui apprezzati professori universitari, giornalisti/e, femministe storiche finalmente cresciute ed associazioni di genitori – che ha prodotto negli anni serie ricerche scientifiche. Le quali ribaltano clamorosamente il diffuso mito circa la unilaterale violenza maschile. RADAR – Respecting Accuracy in Domestic Abuse Reporting, www.mediaradar.org – documenta infatti dettagliatamente come la violenza domestica sia agita nella medesima percentuale da entrambi i sessi; come le donne siano inclini ad avviare azioni violente in percentuale doppia rispetto agli uomini e ugualmente doppio è il tasso di morti violente per questi ultimi. Anche la violenza sui minori – inclusi gli infanticidi – è perpetrata dalle donne/madri in misura più che doppia rispetto agli uomini/padri. L’organizzazione documenta altresì la visione ormai totalmente sbilanciata verso un "sentire femminista" della Giustizia, un odioso doppio-standard di trattamento giudiziario ed istituzionale: le donne accusate di reati gravissimi come pedofilia, omicidio e infanticdio vengano molto spesso assolte, o ricevono pene infinitamente più leggere rispetto a quelle che ricevono gli uomini per gli stessi reati. L'aggressione fisica a sfondo sessuale verso una donna - oltre alla riprovazione sociale -viene severamente punita, mentre l'omicidio, la tortura, gli abusi sessuali sui bambini, e ogni altro grave crimine commesso da una donna è collocato in un ambito di “comprensione” e “riabilitazione” Molti articoli di stampa americana hanno attaccano violentemente il rapporto del segretario Koffi Annan, definendolo pervaso e contaminato dal quel delirio radicalfemminista che, in assenza di supporti scientifici e con approccio esclusivamente ideologico, addebita al solo genere maschile ogni tipo violenza. Con l’unico obiettivo di scardinare in tutto il mondo l’istituto della famiglia criminalizzando il contesto maritale e paterno, come già fatto nei Paesi occidentali veicolando l’utilizzo delle false denunce di abuso. Ovvio che i nostri media
hanno glissato.
Noi non ci siamo accontentati di seguire l’”evento” attraverso i media. Chi scrive ha
partecipato a diversi dibattiti tra cui quello organizzato dalle donne
parlamentari di Rifondazione Comunista presso Contrariamente a quanto pubblicizzato nel volantino, le parlamentari comuniste hanno brillato per la loro assenza. L’approccio iniziale al fenomeno delle violenze domestiche da parte delle altre rappresentanti di partito ha ricalcato pari pari lo spessore intellettuale della pappetta radical femminista rancida ed indigesta, che persino l’ONU ha rigettato. “La famiglia, cellula costitutiva della cultura
patriarcale, è la sede indiscussa della violenza degli uomini contro le
donne, violenza che accomuna latitudini, etnie, religioni e classi
sociali. ……. questa violenza non è un allarmante fenomeno sociale
degli ultimi tempi ma una realtà costruita in millenni di storia, che
affonda le radici ovunque. La violenza
patriarcale non riconosce l’altro da sé ed ha come obiettivo la
cancellazione della sessualità femminile. Perciò il patriarca tende
allo spegnimento di ogni traccia di vita, ogni desiderio, anche il
desiderio di reagire. Ma noi non ci sottomettiamo a questa logica. Non
offenderete oltre la nostra libertà. Esigiamo la cultura del rispetto
sociale della libertà femminile anche per il lesbismo così duramente
colpito dallo stupro, dalla violenza e dall'intolleranza fascista” Non poteva mancare il riferimento alle immigrate che esercitano la prostituzione; ovviamente tutte schiavizzate, strappate ai loro Paesi d’origine con false promesse e successivi ricatti, tutte vittime della doppia violenza dei perversi maschi italiani. Una giovane signora nigeriana, presentata da una “madrina” del partito, ha raccontato in ottimo italiano la sua storia. Elegante e bellissima, è ora felicemente accasata con un uomo italiano, dopo tre anni di “schiavizzazione”, (è curioso che il tempo occorrente ad una schiava del sesso per uscire dalla situazione si aggiri sistematicamente sui tre anni). Ha costituito una associazione per tutelare le sue colleghe ancora in schiavitù, sollecitando quindi a loro nome sostegno ed aiuto, soprattutto per ottenere rapidamente……. il permesso di soggiorno. Le ho suggerito di utilizzare l’appoggio delle femministe ed i fondi pubblici che lo Stato italiano elargisce alle associazioni di promozione sociale - con le tasse dei lavoratori/trici italiani - per organizzare nel suo Paese una rete di informazione e prevenzione. Affinché sia risparmiata ad altre ragazze la triste esperienza della migrazione in schiavitù e della prostituzione forzata. Mi ha risposto che non si può impedire a nessuno di inseguire i propri sogni e le proprie aspirazioni…… Ho tentato di approfondire, nel dubbio che avesse frainteso la mia domanda, ma la vigile “madrina” ha interrotto bruscamente la conversazione……. Esauriti gli slogans di rito, e la rappresentazione di storie personali di violenza, il discorso è scivolato su cifre e dati statistici sventolati come sciabolate, comprensibilmente privi di qualunque supporto scientifico: “Usciamo dalle case e scendiamo in piazza per diffondere i
dati della drammatica realtà quotidiana delle donne, i dati dei Centri
antiviolenza di Roma, quelli dei consultori, dalle molestie al
femminicidio. 1.600 donne l'anno si rivolgono ai Centri antiviolenza di
Roma, di cui l'89% subisce violenza in famiglia. Le donne uccise in
Italia per mano di partner ed ex-partner nel 2004 sono state 120. Dai
racconti delle donne impegnate da anni nei centri antiviolenza, delle
mediatrici culturali, delle magistrate, delle operatrici nella sanità
pubblica emerge un dato già noto, e cioè che per il 90 % è in casa
che le donne sono aggredite e seviziate, e che la violenza domestica
deve essere riconosciuta come un dato strutturale in Italia e in
Europa” E da questo punto in poi altro che pappetta stantia: il discorso si è fatto preciso, lasciando ben capire dove voleva parare. Viene introdotto l’argomento del disegno di legge abbozzato dalla Ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini a tutela delle donne vittime di violenza sessuale, ed il dibattito si fa serrato. Prevale la
preoccupazione per la deriva securitaria che sottende il disegno di
legno, i cui elementi di verifica giudiziaria del possibile reato –
ovvero certificati medici e diagnostici - costituiscono agli occhi delle
femministe “uno schema di
controllo della sessualità e del corpo femminile”. Invece: “Molti sono gli aspetti inaccettabili e pericolosi del
discorso pubblico sulla violenza sessuale:
l’incompiutezza del processo della giustizia e del
risarcimento, la solitudine di molte donne nelle aule dei tribunali, cui
spesso le sentenze offrono una giustizia solo nominale
Forte della lunga esperienza di questi anni, la rete dei
centri antiviolenza ha chiesto alla ministra Pollastrini di attivarsi
per un piano nazionale antiviolenza con interventi integrati in una
visione sistemica globale. Un piano d’azione su questi temi non può
che nascere dal confronto leale con i saperi e le pratiche
femminili e con le strategie di trasformazione che ne derivano; alla
base ci deve essere, insomma, un riconoscimento della autorevolezza politica dei soggetti femminili e
femministi, che devono essere interlocutori privilegiati per
questo progetto legislativo. E considerati parte integrante attiva nelle
inchieste giudiziarie, che devono essere avviate d’ufficio,
sulla base di protocolli d’intesa previamente stilati, che includano
anche adeguata formazione degli operatori, corredata dagli stanziamenti
economici necessari ” . Finalmente tutto è chiaro: le “esperte” che operano nei centri antiviolenza pubblici e privati – ulteriormente finanziati con le tasse dei cittadini – vorrebbero assumere il controllo dei procedimenti che riguardano la violenza contro le donne. La strategia di trasformazione consisterebbe nell’abolire il classico iter processuale che pone a confronto la presunta vittima con l’eventuale autore del reato, sostituendo alla prima i saperi femminili quali interlocutori privilegiati, senza necessità di formale querela nei confronti del secondo e senza contraddittorio. Chi oserebbe contraddire “la riconosciuta autorevolezza dei soggetti femminili e femministi”? Sembra la fotocopia del sistema a tutt’oggi in vigore di “tutela del minore”: è sufficiente una segnalazione da parte di una operatrice di un qualunque centro antiviolenza per far scattare l’intervento del tribunale; senza querela di parte, senza attestazioni mediche, senza testimoni e l’accusato diventa immediatamente colpevole! Se poi la donna presunta vittima di un marito presunto violento ci ripensa e tenta di sottrarsi a questo gioco al massacro, rischia di vedersi sequestrare i figli per incapacità genitoriale. Non è neppure auspicato un inasprimento della sanzione penale, anzi: è sufficiente un immediato risarcimento economico dei danni per riequilibrare la distorta relazione uomo/donna. Proprio quest’anno, guarda caso, è stata varata la legge 54/2006 sull’Affido Condiviso. Il dibattito che l’ha preceduta, ha fatto emergere in tutta la sua meschinità la strumentalizzazione dei figli nel conflitto - abilmente alimentato dall’esterno - in sede di separazione. Ed ha spianato la strada ad un cambiamento anche culturale, nel senso della consapevolezza ed assunzione di responsabilità che sgombri il campo da patologici livori rivendicativi. Non per nulla una nutrita schiera di saperi femministi e femminili dichiarò a suo tempo che quella dell’Affido Condiviso era una legge “contro” le donne. E pertanto, questi saperi che alimentano la conflittualità con lo scopo preciso di minare alla radice le relazioni familiari uomo/donna, non si sono arresi. Allentata la “tutela” sui bambini (si spera), tornano ad aggrapparsi alla preda originaria – la donna - da rendere sempre più fragile, sola, impotente ed asservita al loro dominio, per sfruttarla meglio. Senza peraltro lenire la sofferenza reale delle vittime vere.
Il business resta identico. Così come l’ossessione del potere e le frustrazioni che la nutrono. TREMATE, TREMATE……..LE STREGHE SON TORNATE! Elvia Ficarra Responsabile Osservatorio Famiglie Separate Gesef
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