Risvegliarsi…

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Risvegliarsi…

Orfeo è la figura capitale del risveglio. Bisogna avere pazienza, una pazienza senza fine. La pazienza, anche un’esistenza intera di pazienza, è un prezzo basso per l’amore. Eppure, l’amore può essere così forte, così soverchiante, da soverchiare perfino la pazienza. Orfeo non si volta per sincerarsi che Euridice lo stia davvero seguendo, che Ade abbia mantenuto la sua parola, come in un qualsiasi riscatto di sequestrato. Si volta perché il desiderio è più forte di lui. La perde per la grandezza del suo amore, non per la piccineria del dubbio.

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Quelle azioni “inutili” che ci fanno scoprire il Vero, il Bello e il Bene – Quotidianità e ricerca dell’ASSOLUTO.

Si sente dire ai nostri giorni che l’individualismo moderno, misto di cinismo e frenesia consumistica, conduce a una rinuncia definitiva all’assoluto. Si è dunque condannati a questa alternativa sterile di vuoto e di troppo pieno, a scegliere tra la rottura con l’assoluto e la sottomissione a un assoluto oppressivo? È qualcosa che gli uomini e le donne del nostro tempo non accettano piú. Senza rinunciare del tutto alla sanzione esteriore (ammirazione) che può accordare loro la pubblica opinione, si nutrono altrettanto, se non di piú, di un sentimento intimo di realizzazione e di qualità della vita.

Constatano in effetti, che un buon numero delle loro azioni, alle quali non hanno alcuna intenzione di rinunciare, non hanno significato né per la logica del consumo né per quella del riconoscimento sociale, e non si spiegano né con la ricerca del piacere immediato né con quella del successo. Un posto centrale fra tali azioni è occupato dai rapporti con gli altri esseri umani, di cui la forma piú apprezzata è l’amore: quello di un amante per l’altro, ma anche del genitore per il figlio (e viceversa), di un amico per l’altro. Si desidera essere fra le persone che si amano non per far progredire la propria carriera e nemmeno per divertirsi: si gioisce della loro esistenza. Un’altra attività che sfugge alla logica dell’apparire e del consumo è quella che parte da un confronto del nostro spirito con il mondo circostante: si tratta del bisogno di conoscere e di creare. La pulsione che ci conduce a cercare una migliore comprensione della natura e della cultura è alla base della ricerca scientifica, ma anche di mille azioni quotidiane; non è apparentata al consumo, non piú di quanto lo sia quell’altro bisogno che è la creazione, sublimata nelle attività artistiche ma, ancora una volta, pure nella famiglia. Appartiene infine a questo medesimo insieme il lavoro a cui ci si dedica in vista di un perfezionamento interiore, di una realizzazione personale, e che giunge ad avvicinarsi fino a un passo dalla saggezza.

Quello che tali diverse azioni hanno in comune è duplice. Da un lato, esse non hanno un carattere direttamente utilitario. Per quanto io speri, mettiamo, che i miei slanci verso la sapienza, i miei tormenti di artista mi assicurino la considerazione dei miei contemporanei, non è questa la ragione per cui mi sono avviato sulla strada della riflessione e della scrittura. Al contempo, se queste azioni mi portano una soddisfazione piú intensa, è proprio perché mi danno l’impressione di entrare in contatto con delle categorie universali: il Vero, il Bello, il Bene, e l’Amore. Categorie che non trovano la loro origine in noi stessi. Noi arriviamo allora al paradosso dell’assoluto individuale, conquistato in piena libertà e non dipendente dalla volontà di soggetti particolari. L’idea stessa di un assoluto individuale è, sia chiaro, problematica: se ciascun individuo decide sovranamente quello che nella sua vita sarà assoluto, non siamo ricondotti a quel relativismo da cui credevamo di fuggire? Ma questo problema non è insolubile: il fatto è che non si tratta mai di una scelta arbitraria. Ciascuno di noi fa la scoperta di qualcosa che, pur essendo in lui, lo oltrepassa; di qualche cosa che, pur essendo messa in luce da uno solo, può essere comunicato ad altri. Paradossale non significa inesistente: è la presenza di questo assoluto individuale che ci fa percepire la differenza tra una vita che qualifichiamo come bella o ricca di significato e una vita solamente adorna di risultati materiali o piaceri.

Se si vuol trovare l’assoluto allo stato puro ci si trova confinati alla morte e al nulla: invece la vita è forzatamente imperfetta e peritura. Questo spiega la predilezione dell’immaginario umano per gli stati estremi, che costituiscono l’emblema piú sicuro dell’assoluto. Il sacrificio dell’amante, o quello dell’amato, prova la qualità dell’amore! Si può riconoscere la pienezza dell’assoluto anche all’interno del nostro mondo finito e imperfetto. Cartesio diceva: «Non esiste uomo così imperfetto che non si possa provare per lui un’amicizia perfetta». Tali sentimenti non provengono da una qualità dell’oggetto ma da una disposizione del soggetto. Quel che ci colpisce nell’amore fra un genitore e suo figlio non è la qualità dell’uno o dell’altro, ma quella dello slancio che li porta l’uno verso l’altro. Succede lo stesso con l’amore; l’assoluto non sta là, al di fuori di noi, aspettando che lo si vada a cogliere, ma deve essere fabbricato a ogni istante: la casualità di un incontro diventa la necessità di una vita. Ma poi può sparire altrettanto facilmente.

Come apparirà a ciascuno questa via di realizzazione interiore? Starà a lui scoprirlo: l’epoca delle risposte collettive è passata, anche se l’individuo può ancora sperare che gli altri attorno a lui comprendano le sue scelte e le condividano. Ma già si può dire che per ottenere questa bellezza o questa saggezza non è indispensabile scrivere o leggere dei libri, dipingere o guardare dei quadri, come non lo era pregare Dio o prostrarsi davanti agli idoli, fondare la Città ideale o battersi contro i suoi nemici. Lo si può fare contemplando il cielo stellato sopra le nostre teste o la legge morale nei nostri cuori, dispiegando le proprie forze intellettuali o dedicandosi al prossimo, lavorando al proprio giardino o costruendo un muro ben diritto, preparando il pasto della sera o giocando con un bambino.

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Le possibili “contraddizioni” di una legge tra volontà del legislatore e oggettività del testo. – Dr. Giacomo Rocchi, Magistrato

Le contraddizioni della Legge – Dr. Giacomo Rocchi – Magistrato

1. Quando una legge è approvata definitivamente e promulgata, il suo contenuto è ormai cristallizzato nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e su questo testo si concentrano gli interpreti: coloro che devono applicare la legge – operatori del settore, magistrati, avvocati, funzionari pubblici – nonché gli studiosi del diritto. Il criterio fondamentale di interpretazione è quindi quello oggettivo, che ha riguardo al testo e al suo significato e prescinde quasi del tutto dalle cosiddette “intenzioni del legislatore” che si possono ricavare dai lavori preparatori (proposte originarie, modifiche, emendamenti, discussione parlamentare dei singoli articoli, discussione generale ecc.). In sostanza – anche se può sembrare un’osservazione banale – una legge opera ed è efficace in forza del suo contenuto definitivo, a prescindere dalle intenzioni o dai desideri dei parlamentari che hanno contribuita ad approvarla e quindi, talvolta, anche contro queste intenzioni e questi desideri.
Il legislatore (cioè la maggioranza parlamentare che ha contribuito ad approvare la legge), ad un esame obbiettivo del testo normativo, potrà quindi risultare distratto (se non si è reso conto che, approvando un certo testo, non avrebbe ottenuto i risultati perseguiti) oppure in mala fede (se avrà proclamato un determinato principio facendo però in modo che esso non sia realmente realizzato) o ancora tecnicamente incapace (se non avrà tenuto conto degli effetti giuridici derivanti da altri rami del diritto, ad esempio i principi costituzionali che regolano il diritto penale); o, al contrario, attento, in buona fede e tecnicamente capace.
Ma l’interprete della legge lascia volentieri ad altri le valutazioni politiche o morali sull’operato del legislatore e si concentra, come si è detto, sul testo, magari – come in questo scritto – facendone emergere le contraddizioni e la sua reale efficacia.

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Ci sono in realtà ben altri modi per far funzionare una legge. Un esempio lo fornisce la legge 20/7/2004 n. 189 contenente “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali …”: legge approvata pochi mesi dopo la legge 40. La legge punisce severamente le condotte crudeli verso gli animali fino a giungere a punire con la reclusione da tre a diciotto mesi chiunque, per crudeltà e senza necessità, cagiona la morte di un animale (art. 544 bis c.p.).
Una recentissima sentenza della Cassazione apre lo squarcio su una vicenda a dir poco grottesca: un uomo, denunciato con l’accusa di maltrattamento di animali all’inizio del 2004 poiché accompagnava a passeggiare un cane meticcio malato, poi morto, per il sospetto che quelle passeggiate potessero aver cagionato, o affrettato la morte, alla fine del 2006 non aveva ancora visto finire la sua vicenda processuale (che probabilmente è ancora in corso): infatti, dopo una prima archiviazione da parte del G.I.P. su richiesta del P.M., la sezione locale dell’Associazione Nazionale per la Protezione degli Animali (A.N.P.A.) aveva chiesto la riapertura delle indagini (si ricordi: il cane era già morto da tempo); il P.M., ritenendo che non ve ne fosse necessità, aveva nuovamente chiesto l’archiviazione, poi disposta dal G.I.P. (11/1/2005); l’A.N.P.A., allora, aveva proposto ricorso per cassazione contro il decreto del G.I.P. deducendo di non essere stata avvisata della richiesta di archiviazione; davanti alla Corte di Cassazione a Roma, l’indagato (che evidentemente iniziava a preoccuparsi …) aveva nominato un avvocato (con le spese conseguenti). La Cassazione, con la sentenza ricordata, ha dato ragione al ricorso dell’A.N.P.A. e ha restituito gli atti al P.M. che, evidentemente, a questo punto dovrà (dopo tre anni …) fare qualche indagine.
A parte la valutazione dell’intera vicenda, interessante è notare che la Cassazione fonda la sua decisione sul fatto che la legge 189 attribuisce un ruolo particolare agli enti di tutela degli animali (che dovrebbero essere iscritti in un elenco ministeriale non ancora approvato), cosicché questi enti possono agire nel processo come se fossero persona offesa.

Ecco un modo, come si vede (fin troppo) efficace, per garantire davvero la tutela degli animali maltrattati o uccisi; [… …]

[Fonte: Dr. Giacomo Rocchi – Le contraddizioni della legge 40 – http://www.federvitapiemonte.it/html/nav_Dr._Giacomo_Rocchi_-_Le_contraddizioni_della_legge_40.php]

L’ultimo passo verso la povertà

In Italia, dice la Caritas, il 25 per cento degli ospiti delle mense dei poveri sono persone separate o divorziate: molti dormono in auto, alcuni nei dormitori pubblici; altri, certamente più fortunati, tornano a vivere con i genitori. Sono operai, ma anche impiegati e insegnanti.

La ragione di questo fenomeno è facilmente comprensibile: mantenere due abitazioni è spesso impossibile quando i denari non bastano neppure per pagare le rate del mutuo o il canone di locazione della casa coniugale. Non succede solo da noi: Daniel Clement, un avvocato divorzista di New York che cura un frequentatissimo blog dedicato al diritto di famiglia, ha scritto: «Fino a qualche anno fa ci occupavamo di dividere patrimoni e guadagni. Oggi ci occupiamo di ripartire i debiti».

E’ dura sopratutto per i padri. la legge giustamente si propone di salvaguardare in primo luogo l’interesse dei figli e quindi prevede che la casa coniugale sia assegnata al genitore con cui questi vivono; poiché, com’è noto, generalmente i bambini dopo la separazione continuano a vivere con la madre, al padre non resta che raccogliere le proprie cose e andarsene.

CARLO RIMINI – TORINO – 07/05/2010

[Fonte: http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/209952/]

Padri divorziati vittime di violenza economica: “Il mio bambino mi vede senza denaro, non conto più”

Una vita a metà, scandita da una routine che cozza con la consapevolezza di una ferita insanabile. E’ la prova più dolorosa, ripetuta ogni giorno, alla quale deve sottoporsi un ex-coniuge: uomo o donna non importa, il fallimento non ha sesso. Se poi viene meno la certezza del lavoro, allora il colpo di grazia è totale.

Anche i figli sono in pillole: questo, più di tutto, divora chi ha già dovuto rinunciare alla casa affrontando una lunga serie di ristrettezze economiche. «Il mio lo vedo una volta ogni 15 giorni – racconta Riccardo, uno dei tanti padri separati, che a distanza di anni ha ancora il groppo alla gola -. Resta con me dal sabato pomeriggio alla domenica pomeriggio».

Appena un giorno per parlarsi e provare a fingere una normalità fasulla. Ma i rancori e le ritorsioni che spesso accompagnano la fine di un rapporto possono rendere la situazione ancora più difficile. L’eventualità che uno dei due ex-coniugi si rifaccia una vita è una mazzata in più per quello che resta solo con i suoi ricordi.

A Riccardo è accaduto. Qualche tempo dopo la separazione, la compagna di un tempo si è risposata e ha avuto un figlio da un altro. Quel che è peggio, si è trasferita in una regione vicina: vicina ma abbastanza lontana per diradare le visite al bambino di primo letto, che oggi ha 12 anni. «Da tre volte alla settimana le visite sono scese a due volte al mese, capisce? – spiega il papà senza sapere a quale santo votarsi -. Non solo. L’ultima volta mio figlio ha detto che non potevamo vederci perchè doveva giocare a pallone… Non capivo, ho provato a insistere. Alla fine ha preso il telefono la mia ex-compagna. Mi ha avvertito di piantarla, ha detto che se volevo potevo pure sporgere denuncia».

Come se uno potesse combattere la distanza e ripristinare a suon di carte bollate l’affetto di un figlio che lentamente si spegne. «Per me era importante vederlo – spiega Riccardo -. La volta precedente, quando ha fatto la Cresima, mi sono limitato ad andare alla cerimonia prima di scappare via. Contavo su un giorno tutto nostro per festeggiare insieme».

Invece doveva giocare a pallone. Eccolo, il nemico. I rapporti che si allentano, il prevalere delle cose non dette: «Mio figlio capisce che non conto nulla e io non posso farci niente. Le poche volte che ci vediamo cominciamo a sembrare due estranei. Non so come vive, come passa le giornate, quali sono i suoi interessi… Gli chiedo della scuola, poi la conversazione si spegne. Una volta non era così».

ALESSANDRO MONDO – TORINO – 07/05/2010

 
[http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/209982/]

Céline avrebbe sottoscritto. E i giornali e le telecamere che corrono a vedere.

«Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato.

È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia…» Può essere che Angelo Starinieri, ricco e povero, e poi di nuovo ricco; manager divenuto clochard, e infine di nuovo manager dei suoi amici barboni, dai milioni ai centesimi, su e giù per le montagne russe di un’esistenza esagerata, non abbia mai letto Louis Ferdinand Céline. Ma già quel titolo: «Viaggio al termine della notte», gli piacerebbe, per non dire che un personaggio come il suo ci sarebbe stato bene benissimo – di diritto, anzi – nelle pagine del medico visionario di Courbevoie. Parla di quelli come lui, Céline, quando dice per esempio che «l’esistenza è una cosa che vi torce e vi rovina la faccia».

La faccia di Angelo Starinieri, 70 anni, barba bianca e gli occhi che hanno fatto da spettatori a tante sconfitte, un po’ rovinata lo è.

Lui, l’uomo che con i suoi amici barboni è entrato nel Guinness dei primati perché un giorno gli è venuto in mente di confezionare la torta più grande del mondo (86 metri di giulebbe, se vi sembran pochi…) un libro potrebbe scriverlo domani, se volesse. Un libro per raccontare che l’approdo a un paradiso possibile in cui la speranza, il riscatto, la visione di una felicità infine possibile spesso è lì, a portata di mano.

E viene un momento in cui tocca fermarsi, riconoscere che il bene è lì da vedere, basta allungare una mano per coglierlo; e allora tutti i pezzi sparpagliati tornano alla base, e un quadro compatibile, benigno, salvifico infine, va profilandosi. Riconoscerlo, farlo proprio, ecco di che si tratta.

Angelo Starinieri, dunque, 70 anni, quasi sempre vissuto a Como. Manager – marketing, pubblicità, relazioni esterne – di una multinazionale svizzera, ramo orologi. Presidente, a un certo punto, della «Lariana Hockey», «150mila euro investiti in due anni, così…».

Poi il mondo che comincia a girare a rovescio. Un figlio che muore per droga, il matrimonio che va a rotoli, i problemi economici a seguire. Per un anno e mezzo Starinieri viene a vivere a Milano, da un amico. Ma la vita: sempre in discesa. «Uno stato di torpore molto triste», sintetizza lui. Depressione, si chiama.

Lascia la casa dell’amico, prende a gravitare intorno alla stazione di Cadorna. «Dormivo sulle panchine, mi lavavo alla Croce Rossa, mangiavo alla Caritas. Pian piano morivo dentro, sentivo che il cervello mi si spappolava». Poi, la scossa. Una donna che gli passa accanto, e dice al figlio: «Lo vedi? Se non studi finisci come quello lì».

Allora Starinieri si alza, si ricorda che una volta, dài, era un uomo. Resta dov’è: ma ricomincia a fare le cose che sapeva fare. Angelo Starinieri ricomincia a vivere a novembre. Si inventa una mostra di pittura: «Suoni e colori: 28884 minuti per gli invisibili». Invisibili come lui. A dicembre, la faccenda della torta, cui mettono mano in una trentina. E i giornali e le telecamere che corrono a vedere.

A marzo, un salotto letterario dove i lettori possono incontrare gli autori: «Leggere un libro per il sorriso di un clochard». E con i soldi messi insieme ecco una bella roulotte dove fare un po’ di cucina, e sette tende nuove di zecca per dormirci la notte. In ballo, altre due buone idee: una piattaforma dove collocare altre tende per i suoi amici e un combino con il Comune per la gestione di alcuni giardinetti della città.

La sera, quando tutti i barboni di Cadorna si ritrovano, sembra una famiglia. Lui, il manager che si fece clochard, nelle vesti dell’amministratore delegato degli Invisibili, se si può dire.

Non cambierà vita, Starinieri. Ha detto così: «Non si diventa clochard per scelta. Ma bisogna rispettare il proprio destino». Céline avrebbe sottoscritto.

 


Un piccolo sussulto di vita…

Dio non conosce i limiti dentro i quali ci agitiamo noi.

Così come non conosce i miti dentro i quali racchiudiamo gli obiettivi delle nostre esistenze.

Dio è l’assoluto. Semplicemente Lui “è”.

Se parliamo di tempo, il tempo per Dio è infinito.

Se parliamo di amore, l’amore per Dio è infinito.

Dio non conosce l’errore ed è lontano da tutte le nostre imperfette percezioni di cosa sia giusto o ingiusto, bello o brutto, conveniente o sconveniente.

Tutto questo, ovviamente, se scegliamo che Dio esista.

Non abbiamo PROVE CERTE a favore della sua esistenza e non ne abbiamo nemmeno della sua assenza. Proprio perché Dio è fuori da quello che noi chiamiamo REALTA’. Dio è qualcosa di più grande o, se preferisci, di infinitamente piu’ piccolo.

Dio se riesci a SENTIRLO esiste. Se non ne percepisci l’esistenza puoi, invece, fare l’esperienza di una vita vissuta nella convinzione della sua assenza.

Dio è anche amore. Ma è un amore diverso da quello di cui sentiamo parlare ogni giorno fin quasi alla nausea. Ed il suo è un amore che non finisce mai. Nemmeno se capita di iniziare una nuova vita oppure di doverla terminare prima di quando avevamo previsto.

Lo dicevamo poco fa… Dio, se riesci a sentirlo, è fuori dal tempo e dallo spazio.

Una bellezza inimmaginabile.

gf

 

L’appello di Erin Pizzey, la donna che sollevò il problema della violenza domestica e fondò il primo centro anti-violenza.

«Il movimento femminista ovunque ha distorto il problema della violenza domestica per i propri fini politici e per riempirsi i portafogli. Sotto la copertura dei centri anti-violenza che danno loro fondi e strutture per portare avanti la guerra di genere contro gli uomini, le femministe hanno iniziato a diffondere dati tendenziosi.  Osservai le femministe costruire le loro fortezze di odio contro gli uomini, dove insegnavano alle donne che tutti gli uomini erano stupratori e bastardi. Testimoniai il danno fatto ai bambini in tali rifugi. Capii che il femminismo è una frode. Sia le donne che gli uomini possono essere crudeli. L’unica cosa di cui un bambino ha davvero bisogno, i suoi genitori assieme sotto lo stesso tetto, viene minata dall’ideologia che dice di difendere i diritti delle donne. È venuto il momento di chiudere con questa ideologia dell’odio. Quelle donne che amano i loro mariti, i loro partner, i loro figli, si uniscano al movimento degli uomini nel combattere le leggi anti-uomini. Questa è la nostra ultima possibilità di correggere un male atroce. Milioni di uomini ed i loro bambini hanno sofferto nelle mani di questo malvagio movimento femminista. È arrivato il momento per uomini e donne di dire NO AL FEMMINISMO»

Lo storico appello di Winston Churchill dall’Inghilterra rimasta sola contro il nazismo:

«Non ho altro da offrirvi che sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi un cimitero dei più penosi. Abbiamo di fronte a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. Se chiedete quale sia la nostra politica risponderò: di muover guerra, per terra, mare e aria, con tutto il nostro potere e con tutta la forza che Dio ci dà, di muover guerra contro una mostruosa tirannia, mai superata nell’oscuro deplorevole elenco dei delitti umani. In una dozzina di grandi antichi stati, ora soggiogati dal dominio nazista, le persone di ogni classe e credo attendono l’ora della liberazione, quando anche loro saranno in grado, ancora una volta, di fare la loro parte e combattere con coraggio come uomini.  Quell’ora arriverà e il suo solenne rintocco proclamerà che la notte è finita e l’alba è arrivata.»

Se ……………………

«Se una società edonista malata di nichilismo vuole farti credere che tu sei la parte malata, scrolla le spalle e vai diritto: perché chi è giovane diventerà vecchio, così come chi è bello diverrà canuto e chi è potente cadrà con molto rumore. Ma cadrà solo se te resterai in piedi, se l’animo buono degli esseri umani prevarrà sulla violenza dei tiranni: questa è la via maestra, questo è ciò che i malvagi temono»

La “Mistica della Femminilita’” passata attraverso 50 anni di storia….

Secondo me quel testo di Betty Friedan “La mistica della femminilita’” rappresenta qualcosa di cruciale e non ancora metabolizzato (e quindi nemmeno focalizzato a livello simbolico) nel contesto delle battaglie femminili attuali.

C’è qualcosa di paradossale che non torna. Infatti da una parte l’autrice disse  “NOI DONNE NON SIAMO DOLCI E GENTILI COME CI VEDETE VOI UOMINI. NOI SIAMO DIVERSE… SIAMO COME VOI!…”

Contemporaneamente queste nuove donne iniziarono la loro battaglia contro il maschile con quale, tuttavia, si confrontarono (e si confrontano tuttora) in termini di sovrapposizione identitaria. In qualche modo par di capire che queste dicano “SIAMO COME VOI… DIMENTICATE L’ANGELO DEL FOCOLARE… NOI NON SIAMO QUESTO… QUESTA IDEA ‘MISTICA’ DELLA DONNA E’ SOLO NELLA VOSTRA TESTA”

Una sovrapposizione che tuttavia storicamente non riesce e che sotto il volto della contestazione nasconde una frustrazione per il mancato riscontro nella realta’ (Femmine che affermano di essere come i maschi ma che non riescono ad emularli in termini positivi).

Tu, Gaetano, avevi scritto qualcosa a questo proposito (E’ il femminismo estremo che ha riportato la donna nel medioevo) ma era una riflessione tua, sganciata dal confronto con i testi di riferimento del femminismo estremo comunque colpevole, a tuo avviso, di aver riportato la donna al medioevo.

Insomma… su questo punto ci sarebbe da lavorarci. Tu che ne pensi? Ieri ho postato diverso materiale su questa questione a partire da “Escape from freedom” di From per arrivare all’ipotesi che l’attuale materialismo ateo (beccata anche l’UAAR) altro non abbia fatto che sostituire al Teos un altro oggetto di venerazione cui, in qualche modo, assoggettarsi.

Un percorso strano ma che secondo me varrebbe la pena indagare.

In sostanza dalla contestazione de “la mistica della femminilita’” si è arrivati a far si che questa DONNA MISTICA sia addirittura giunta a soddisfare la tensione religiosa umana, in termini laici sì ma anche, e tu puoi valutarlo meglio di me, schizofrenici.

Va beh… sono pensieri a voce alta. Qui la battaglia si fa dura perché le caste si oppongono ad ogni riforma.

Ci tocchera’ lottare come Mandela per vedere riconosciuti i diritti umani maschili.

E non è nemmeno garantito l’happy end. :-((

 

———— :-PPP

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